UNA STORIA APERTA

Il Dopolavoro Ferroviario a Rimini si ritrovò, alla fine del secondo conflitto mondiale, senza più nessuna delle strutture e degli impianti preesistenti. Tutto era stato raso al suolo dalle bombe. Al DLF fu concesso di rientrare nel sito storico solo a metà degli anni 50. Dalla fine della guerra aveva peregrinato in varie sedi provvisorie in città. Ai dirigenti di allora, armati di tanta buona volontà ma con pochi danari, si presentò l'arduo compito della ricostruzione, almeno in parte, di quanto era andato perduto.

Una struttura DLF più di altre, era stata orgoglio e vanto dei ferrovieri e aveva brillato nella città dell'anteguerra: un cinema-teatro. Fu appunto in questa direzione che ben presto si appuntarono le attenzioni quale obiettivo progettuale prioritario. Fu così che, dopo ripetuti tentativi, infinite lungaggini burocratiche e ostacoli di ogni tipo, alla fine degli anni sessanta i lavori per il cinema, per quei tempi d'avanguardia, furono approntati e nell'arco di nove mesi conclusi.

Si giunse a coronare questo ambìto risultato grazie alla determinazione e la sagacia del Consiglio Direttivo di quegli anni, presidente il dinamico Sergio Spina. Il sostegno economico per questa operazione si ottenne dall'Ufficio Centrale del DLF, che rilasciò un prestito di Lire 64.000.000 (poi restituito a rate concordate) alle quali furono aggiunte Lire 20.000.000 di risorse proprie del DLF. Un progetto tuttavia ridimensionato dalle insufficienti somme disponibili per comprendervi, come prevedeva l'ambizioso disegno originario, anche il teatro.

È scontato che mai nessuno allora avrebbe potuto prevedere come col tempo si sarebbe evoluta in negativo la situazione per il DLF. Prima un ramo delle FS blandito, protetto e finanziato, poi dai primi anni 2000 viepiù taglieggiato. È così che a partire da tali anni si consuma la beffa anche per il cinema. L'avere costruito quell'immobile su un terreno FS si rilevò, col senno del poi, mossa avventata e controproducente, perché poi la proprietà lasciò il DLF senza alternative: o pagare l'affitto richiesto o levare le tende.

Il cinema aveva costituito fino al 2006, anno di apertura della multisala alle Befane, una cospicua fetta degli introiti del DLF. L'irruzione sul mercato cinematografico cittadino di questo nuovo soggetto segnò l'inevitabile crisi e il tracollo delle altre sale. Il Settebello non ne fu certo immune tanto da arrivare da lì a poco, per la rinuncia del gestore, alla chiusura dell'esercizio.

Come DLF dopo un anno, vista vana la possibilità di altri affidamenti, si provò a ricucire lo strappo con il gestore rivedendo a suo favore alcune clausole del precedente contratto, fra le quali l'eliminazione del carico della manutenzione straordinaria, che era stata imposta dalle FS in deroga al Codice Civile, e il non pagare più un canone d'affitto ma di versare una provvigione sui biglietti venduti. Questa scelta fu influenzata dalle conseguenze, vere o presunte, degli effetti provocati dal periodo di chiusura.

In quell'anno infatti si era registrata un'immediata perdita di tesserati, anche se il peso rilevante nella decisione fu lo spauracchio che con la struttura in stato di abbandono, senza alcuna possibilità di cambio di destinazione d'uso, subentrasse poi uno stato di degrado che avrebbe finito per avere ripercussioni anche sugli altri impianti del DLF. Fu così che il cinema riprese ad avere una sua storia soddisfacente in virtù di due fondamentali elementi: vasti parcheggi e buona programmazione.

Questa riapertura indirettamente è stata anche un servizio reso alla città, perché il Settebello è rimasto l'unico cinema superstite nel centro cittadino. È presente quest'aspetto agli amministratori della città? In quale considerazione questo sia tenuto lo sapremo presto anche in relazione al ventilato progetto di spostamento del mercato ambulante, che se interesserà aree o parcheggi DLF, c'è solo da sperare che non lo penalizzino.

Giovanni Vannini

 Cinema Settebello.