MAIALI (BAGHINI)

Il socio Virginio Cupioli (Tonino), classe 1926, pensionato FS, indugia sull'onda dei ricordi ai tempi della sua infanzia, quando la sua famiglia, come altre della periferia, per ovviare alle ristrettezze economiche ricorreva anche all'allevamento dei suini.

I maiali, al massimo tre per mancanza di posto, venivano comprati quando erano lattonzoli, a primavera, e nutriti di semola di grano, cereali, vegetali vari anche bolliti, per un periodo di tempo, poi, d'estate, con gli avanzi dei cibi delle pensioni estive detti broda, che giornalmente all'alba venivano prelevati con una broza (carretto a due ruote con sopra un bidone di metallo tipo contenitore di benzina), trainata a mano dalla mamma e dai figli piccoli, che l'accompagnavano nel silenzio del mattino, percorrendo a testa bassa il tratto da casa a oltre piazza Tripoli (oggi Marvelli), andata e ritorno.

Per dare maggior forza e vigore ai suini, li alimentavano anche con ghiande raccolte all'alba nella zona del Grand Hotel e della Casina del Bosco, luogo adorno di lecci. Molte erano le persone che si affrettavano a questa ricerca, anche affannosa, in concorrenza fra loro. Quando nel porcile veniva immesso un nuovo maiale fra quelli già esistenti, affiorava il senso del territorio che li spingeva a grugnire e morsicare, per cui nei primi giorni Tonino, seduto a cavalcioni sul muro divisorio, con bastone interveniva per evitare danni, finché si abituavano.

Occorreva essere cauti quando si riempiva il trogolo (ebie) di pastone, perché i maiali entravano in competizione fra di loro e potevano farlo rovesciare per la veemenza che li prendeva. Di tanto in tanto, durante la pulizia generale del porcile, venivano lasciati liberi nel recinto della casa, grugnivano e correvano istintivamente in cerca di radici, rimuovendo col muso il suolo che pareva un campo arato.

D'inverno, per Sant'Antonio, un maiale veniva sacrificato per la famiglia e gli altri due venduti per sopperire alle ristrettezze economiche. L'uccisione del maiale veniva fatta da specialisti; le strazianti urla dell'animale si udivano a un chilometro e più di distanza; le pacche (parti di maiale dimezzato), venivano agganciate alla rola per asciugarle, indi salate, poi qualche giorno più tardi sminuzzate e trasformate in salami, prosciutti, salsiccia, eccetera.

Perché i salumi stagionassero, occorreva che la casa avesse gli spifferi d'aria, che non mancavano; infatti non accadeva mai che si avariassero, anche perché venivano consumati anzitempo. Con il sangue del maiale si approntava una torta stesa su una sfoglia di farina che ora non si fa più, salvo in qualche caso per tradizione.

Alla sorellina Stellina le pacche intere facevano paura e non voleva dormire vicino a esse, purtroppo la casa era piccola e la vicinanza non si poteva evitare. Dopo settanta anni, rammentando la cosa, rivive ancora quel timore.

Virginio Cupioli