IL CICLONE

Il socio Benito Colonna (Toni), classe 1937, ferroviere in pensione abitante da sempre a Rivabella, ci offre testimonianza di un avvenimento accaduto cinquanta anni fa, devastante per la riviera romagnola che sconvolse tutto e tutti. Un fortunale definito la mareggiata e la tempesta del secolo seminò distruzione su tutta la zona accanendosi in particolare nel riminese.

Accadde l'8 giugno 1964. C'era stato sole per tutta la giornata, verso le 18.30 si fece un gran buio sul mare in direzione nord. C'era da prevedere che arrivasse qualcosa di poco piacevole. Me ne stavo sugli scogli a pescare, con un occhio guardavo la lenza, l'altro, si fa per dire, non lasciava mai quell'aria nera che pareva avanzare verso di noi. Notai un particolare molto significativo: alla base di quello, l'aria si era fatta chiara e rilucente e i fulmini cadevano tutti perpendicolari.

Memore di altre esperienze e dell'insegnamento di vecchi marinai, intuii il pericolo. Scesi dagli scogli e, tolti i tappi di scolo dell'acqua al moscone, lo trascinai fino a ridosso della strada. Ora che avevo portato la mia imbarcazione al sicuro mi sentivo più tranquillo. Prima di dirigermi verso casa passai dall'amico bagnino Otello: Otello, non offenderti, te lo dico da buon amico, se fossi in te toglierei tutti gli ombrelloni e gli sdrai perché a parer mio qui fra una ventina di minuti si scatena l'inferno. Otello non diede troppo peso alle mie parole.

Io dal canto mio corsi a casa a dare l'allarme, pregai mia madre e mia moglie di mettere in salvo o a terra tutto ciò che poteva volare. Mia moglie incredula mi guardò interrogativamente chiedendosi se non stavo scherzando. Alla mia insistenza si lasciò convincere. Verso le 19.30 si scatenò l'inferno. Cavalloni di basse nubi arrivarono a tutta velocità: un vento impetuoso, fischiando rabbioso investì uomini e cose. La pioggia scrosciante batteva con rumore di grandine, era un vero e proprio tifone. Normalmente questi fenomeni durano meno di mezz'ora, ma quella volta durò un paio d'ore.

Prima che terminasse andai verso la spiaggia per verificare se il moscone aveva subito danni. Con fatica, lottando contro la forza del vento, riuscii ad arrivare nei pressi della strada che costeggia il mare. Lo spettacolo che mi si presentò era sconvolgente: l'acqua del mare aveva coperto tutte le strutture balneari, si scorgevano appena le cime di alcuni pali di tenda parasole. Le onde arrivavano a coprire la strada litoranea. Ogni tanto qualche sdraio preso dal vento veniva sollevato dall'acqua e scagliato lontano. Il campeggio era completamente allagato e la gente aveva l'acqua alla cintola. Auto ribaltate, parti di cabine e di pattino che galleggiavano, insomma un vero e proprio disastro. Me ne tornai di corsa a casa, ero forse l'unico incosciente in giro.

Il moscone? Lo ritrovai il mattino seguente a duecento metri dal luogo in cui l'avevo lasciato. Fortunatamente tutto intero. Si era salvato grazie allo stratagemma che avevo adottato: togliendogli i tappi, si era riempito d'acqua ed era affondato. Così appesantito non era stato troppo sballottato. Quel mattino, sotto un sole splendente, col mare calmo come l'olio, in quella splendida giornata di giugno, la spiaggia ormai abbandonata dall'acqua mostrava tutte le sue ferite e la distruzione totale. Anche il fabbricato della croce rossa, l'unico in cemento, era stato raso al suolo.

Due giorni dopo, con mare calmo e acqua limpida feci il bagno. Otello mi stava ad aspettare. Mi disse: Avevi ragione, un'altra volta ti darò ascolto. Lo informai che alle scogliere, incastrati sul fondo, c'erano parecchi ombrelloni. Ne recuperammo diversi, di sani ne trovammo diciotto. Mi ringraziò con queste parole: T'ci un amig (Tu sei un amico).

Benito Colonna