Il socio Benito Colonna, classe 1937, ferroviere pensionato, ritorna con la mente al passato, alla sua gioventù. Ricordi struggenti di modi di vita semplici ma genuini, di un ambiente che non c'è più.
Dalla casa in cui abitavo, a Rivabella, potevo vedere il mare dalla finestra. Fino al 1955 quasi tutte le case che costituivano l'agglomerato in cui risiedevo erano a un solo piano con annesso orticello. A nord - ovest di queste abitazioni, aldilà della via XXV marzo, si estendeva la campagna fino a Viserba. I campi coltivati a ortaggi erano divisi uno dall'altro da piccoli fossati d'irrigazione dalla limpida acqua sorgiva. Qui flora e fauna acquatica proliferavano in un ambiente ideale.
Nella bella stagione la notte era rallegrata da un incessante gracidare di rane a cui facevano eco i grilli. Sovente quando era tempo di passo si udiva il richiamo dei migratori come tordi, anitre, aironi. Durante la primavera, quando il sole cominciava a scaldare, non di rado, in quei fossati ricchi di piccoli gamberi, pesciolini noni e altro, si potevano osservare tartarughe crogiolarsi ai benefici raggi solari.
Era un paradiso per gli animali, ma lo era anche per i ragazzi di campagna: mare pulito a portata di mano, distese di verde, frutti raccolti direttamente dagli alberi, andar per nidi; insomma, la vita era un po' selvaggia, ma libera e felice. E lo studio? Se si ha di che distrarsi con soddisfazione, la mente riesce bene anche nello studio.
Ogni tanto, prima dell'imbrunire, accompagnavo mio padre a piazzare nella fosa dla turcheta il bertuello (cugal). Messo in opera l'attrezzo dove l'acqua era più profonda, corredavamo la parte terminale del sacco con un piccolo contenitore di cristalli di verderame; questi a contatto con l'acqua, iniziavano a sciogliersi provocando un fastidioso bruciore agli occhi e alle branchie del pesce che, risalendo la corrente per evitare il danno, finiva inevitabilmente nella rete. Quando circa due ore dopo ritornavamo a recuperare il bertuello il pesce era sempre abbondante.
Benito Colonna