Nel lontano 1962, in un gelido febbraio, mi giunse non inattesa la cartolina militare che m'imponeva di presentarmi al Centro Addestramento Reclute di Orvieto, caserma Piave. Ero giovane e presi l'evento con spavalderia, come una sorta d'ignota e curiosa avventura. Un'esperienza quella della naia alla quale per altro non si poteva sfuggire.
L'impatto con questa nuova realtà, all'interno della caserma con centinaia di reclute, suddivise in compagnie, fu peggiore di ogni previsione: vigeva una disciplina ferrea, con superiori che impartivano di continuo, con toni severi, ordini perentori che escludevano qualsiasi replica. Duri, costanti, stressanti i corsi di addestramento. Tante estenuanti marce.
Ma era a tavola che si presentava l'impresa più ostica. Il cibo che veniva propinato, intriso abbondantemente di dosi di bromuro, lo inghiottivo malvolentieri, anche se ero pervaso da una costante fame da lupi. Una condizione alla quale cercavo di riparare con escursioni in una vicina trattoria. Impresa questa però non facile in quanto si presentava un ostacolo a volte insuperabile.
Infatti, sulla carta la sera vi era la libera uscita, ma c'erano da superare le forche caudine rappresentate dal vaglio dell'ufficiale di guardia, che di solito decimava l'assembramento di reclute che si presentavano all'uscita, rinviandole in buon numero in camerata. Trattamento questo riservato a chi, a suo inappellabile parere, non rispondeva nel vestire e nell'aspetto ai canoni ritenuti idonei per recarsi fuori la caserma. C'era molta tristezza in giro.
A rompere il mio stato depressivo vi fu, una domenica pomeriggio dopo un mesetto di vita militare, la breve visita più che mai gradita dei miei genitori, che mi fecero compagnia per alcune ore. Prima che ripartissero mi recai con loro a regolarizzare i biglietti di viaggio ferroviari, in un'agenzia situata nel centro cittadino. Il signore che al banco servì mio padre, constatato che era di Rimini, gli chiese se conoscesse il presidente del Dopolavoro Ferroviario, Sergio Spina.
Il motivo del suo interesse era che il DLF gestiva, allora direttamente, alcuni alberghi al mare a Rivazzurra. Mio padre, che con Spina condivideva una comune militanza sindacale, gli rispose affermativamente. Il signore dell'agenzia viaggi a quel punto gli chiese se poteva metterlo in contatto con il presidente Spina promettendo, per contraccambiare questa disponibilità, che si sarebbe interessato per favorire la mia condizione, avendo alla caserma Piave conoscenze altolocate. Mio padre accettò.
Detto, fatto. Era passata poco più di una settimana ed ecco l'insperata notizia: mi veniva rilasciato un congedo premio di 15 giorni! Un fatto inusitato. Durante il CAR, infatti, i congedi venivano rilasciati solo per motivi eccezionali. Non stavo più nella pelle! A casa quei giorni trascorsero velocemente. Di lì a poco mi ritrovai mestamente di nuovo in caserma, dove ebbi una sgradita sorpresa.
In mia assenza era stato forzato il mio armadietto e svuotato completamente di tutto il contenuto: corredo e materiale militare ricevuti in consegna. Non potei che concludere che il privilegio di cui avevo goduto non era andato a genio a dei miei commilitoni, che vollero in tal modo farmela pagare. A malincuore, per ricostituire la dotazione, non mi rimase altro che mettere mano al portafoglio.
Giovanni Vannini