ACCADDE

Il socio Benito Colonna, classe 1937, ci ha già raccontato nella prima puntata come la povertà diffusa fra la popolazione del riminese nel dopoguerra inducesse non pochi, a sprezzo del pericolo e con una buona dose d'incoscienza, a sfidare la sorte con rischi mortali. In questo caso i pescatori di vongole uscivano in mare prima della bonifica delle mine sommerse e dello smantellamento di altri ordigni bellici di cui i tedeschi avevano costellato la linea di costa marina per la difesa militare.

La quiete fu rotta all'improvviso dalla voce carica di paura e angoscia proveniente da una delle due battane. Tini abbiamo preso una mina. La situazione era drammatica, la mina poteva esplodere con un semplice movimento. Restate fermi non azzardatevi a muovervi, vi veniamo ad aiutare. La voce di Tini era rotta dalla paura e i suoi occhi spalancati di fronte alla drammaticità della situazione.

Dovevano muovere lentamente il minacul e cercare di farlo scivolare via dalla mina. Tini saltò sull'altra battana. Aldo nel frattempo manovrava col remo per cercare di mantenerla ferma. Tini sciolse il nodo che serviva per mantenere in posizione di pesca il minacul. Rimase un attimo fermo. Il cuore gli batteva talmente forte che sembrava volesse scappargli dal petto. Era una partita con la vita. Era consapevole che il minimo movimento avrebbe fatto precipitare nel nulla gli affetti, il calore familiare, gli amici e tutto il suo mondo.

Si spostò di lato con cautela, chinandosi verso l'argano minc che serviva per arrotolare e recuperare la corda. Aldo, anche lui teso come corda di violino, quasi gridando gli raccomandò: Tini, stai attento. Non ti preoccupare, fu la risposta. Nel momento che pronunciò queste parole, forse perché perse la concentrazione, forse per la fretta di liberarsi della mina, molto probabilmente strattonò la corda troppo forte. L'ultima parola pronunciata fu Accidenti... poi la mina esplose sovrastando con il suo boato ogni altro rumore. Un'alta colonna d'acqua, come mi ha raccontato Giani, si alzò assieme a una miriade di frammenti che poi precipitarono in quel mare infido che aveva carpito quelle vite.

Aldo venne catapultato in acqua. Non si rese conto subito della situazione. Il suo io rifiutava l'evidenza della tragedia. Frastornato, nella testa gli frullava l'idea che un'enorme onda anomala avesse fatto oscillare la barca provocando la sua caduta in acqua. Alzò la testa, e pure lui vide un'immensa colonna d'acqua che si stava alzando verso il cielo, portando con se pezzi di assi, remi, e ogni cosa si trovava sulle barche. Poi tutto prese a cadere. E lui si trovò al buio. Non si rendeva conto di dove fosse, poi comprese di essere finito sotto un pezzo di barca rovesciata, casualmente al riparo dalla pioggia di rottami che stava cadendo dal cielo in un silenzio irreale.

Solo in un secondo tempo si rese conto di essere finito in una trappola, una prigione in cui l'acqua cresceva e stava portandolo verso una brutta fine. Stava sentendosi morire, la testa ormai sommersa dall'acqua. Il tempo trascorso sotto la barca gli era sembrato eterno. Cercava di uscire, ma non riusciva a coordinare i movimenti: provava, annaspava, batteva il capo e le mani in cento posti, ma non connetteva, non capiva come doveva agire per trovare la via della salvezza.

Era esausto. Stava rassegnandosi al suo destino. Gli venne da dire: Perché Signore mi fai morire così?. Aprì le braccia restando a occhi aperti. Poi gli parve di sognare, credeva di essere partito per un viaggio senza ritorno. Vedeva la barca intera a prua dove, avvolta da un chiarore crepuscolare, c'era un'immagine strana, indefinita che gli parve la Madonna con in braccio Gesù bambino.

Forse erano allucinazioni, ma egli giurò che la cosa gli parve veramente reale, dandogli la forza per connettere e trovare la via della salvezza. Fece un respiro profondo e con due bracciate riuscì a riemergere al di fuori della sua prigione. La luce del sole lo abbagliò per un attimo, gli fece capire che era ancora vivo. Si guardò attorno. Con sgomento vide i resti galleggianti delle due barche.

continua
Benito Colonna