Il socio Edmondo Semprini, classe 1923 pensionato FS, ricorda le sue vicissitudini nell'ultimo conflitto bellico, soffermandosi sul periodo in cui era sfollato con la famiglia a Santa Maria in Cerreto. Memorie raccolte dal sig. Daniele Celli.
Prima della mietitura, con gli uomini della zona di Croce, avevamo deciso che fosse meglio mettersi a lavorare per realizzare alcuni rifugi scavati sul fianco della collina, nella ripa di Genghini mi sembra dicessero. Erano quattro gallerie, larghe circa un metro e mezzo, parallele fra di loro, realizzate su un fronte di collina di una ventina di metri circa. Avevamo deciso di scavare nella parte terminale una galleria che le collegasse ma non ci fu possibile perché arrivarono i tedeschi che ne occuparono una parte.
Con il terreno scavato creammo davanti l'ingresso una barriera paraschegge. Per realizzarle penso che lavorammo almeno una trentina di giorni. Durante questi lavori ricordo che un giorno passarono su di noi alcuni cacciabombardieri, stavo per mettermi a correre per mettermi al riparo ma un tedesco mi fermò puntandomi una pistola addosso. Correndo, rischiavo di attirare l'attenzione del pilota, era meglio rimanere immobili.
Durante la nostra permanenza a Casiccio aiutammo la famiglia che ci ospitava nei lavori della mietitura, anche per ottenere in cambio di che sfamarci. Una parte del grano lo trebbiai in casa utilizzando le reti del letto.
Un giorno assistetti a un bombardamento aereo eseguito da 10/15 cacciabombardieri nella zona di San Savino. Forse attaccarono una batteria di cannoni, oppure una colonna di automezzi lungo la strada fra San Savino e Coriano; ricordo le alte fiamme che si alzavano verso il cielo.
Una mattina, potevano essere le ore 7.30 circa, stavamo ancora scavando per la preparazione dei rifugi quando sentimmo un gran trambusto provenire dal fondo della vallata di Valliano. Uscito fuori mi portai in un punto che mi permetteva di osservare la zona. I tedeschi stavano facendo un rastrellamento, si sentiva che sparavano come matti.
Io avevo la tessera TODT, ma quando mi incamminai per andare al mio posto di lavoro, incontrai la Tosi Isolina (Bisolina), una mia vicina di casa (abitava a Rimini due case più avanti della mia) e mi consigliò di prendere un'altra strada. Seguii il suo consiglio e mi portai su quella che conduce a Monte Colombo.
Qui incontrai un calesse guidato da un militare tedesco. Gli feci segno di fermarsi poi, mostrandogli la tessera TODT, gli spiegai che dovevo andare a lavorare. Mi fece salire e riprese il viaggio. Una volta giunti nel ghetto di San Marco vidi ai bordi della carreggiata molti uomini controllati dai militari, penso fossero stati catturati per lavorare.
Ebbi una paura tremenda, mi sarei voluto fare piccolo tanto da non essere visto, anzi avrei voluto proprio sparire. Il mio timore era che anche la tessera non valesse nulla in quel frangente, invece le cose andarono bene. Non saprei dire dove quegli uomini siano stati portati. Anche mio babbo, in un'altra occasione, era stato preso durante un rastrellamento lungo la via Montescudo. Lo portarono a lavorare sul fiume Foglia, non ricordo per quanto ma riuscì a scappare. Quell'esperienza lo segnò, non era più lo stesso di prima.
Edmondo Semprini