LISANDRI: L'ULTIMO COLONO

Il socio Virginio Cupioli (Tonino), classe 1926, ricorda un personaggio della sua gioventù, vissuto nella zona di via Lagomaggio, rimastogli particolarmente impresso nella memoria.

Di media altezza, magro, con barba lunga e canuta, capelli nivei sforbiciati, maglia sbottonata di lana grezza di pecora sulla pelle, calzoni multicolori rattoppati, cicca di sigaro in bocca, età indefinita (70/80?), lo sguardo intenso immerso nell'infinito celava il suo pensiero. Così Tonino vedeva il vecchio colono Lisandri quando, scalzo, lavorava il suo campo e, come un capo tribù, disponeva ordini sui lavori ai propri famigliari e coadiuvanti.

Era artigiano del ferro e del legno, curava gli attrezzi e utensili per la bisogna, usava il vinco per fare panieri e cestoni larghi (crein), canne tagliate e sezionate per cestelli e contenitori di varie dimensioni, foglie di pannocchie intrecciate ed erba palustre per rivestire sedie (scarani) e recipienti di vetro come fiaschi e bottiglie. Parte del portico della casa rurale (purghi) era adibito a laboratorio dove realizzava anche carri agricoli e mobilia rurale.

Si occupava degli animali, li curava come un veterinario, assisteva al loro parto ed eventualmente interveniva. Godeva del rispetto e della fiducia della numerosa famiglia patriarcale che sottostava a lui incondizionatamente. Era l'azdor!

Ogni persona che si recava nella sua casa era gradita e veniva accolta con l'offerta di un bicchiere di vino, occasione per dissetare anche se stesso, riempiendo un boccale che veniva distribuito a tutti i presenti. Gli capitava spesso di terminare la scorta di vino prima della vendemmia e, in questi casi, nella calura dell'estate beveva acqua miscelata con gocce d'aceto. Qualche furbo approfittava della sua bontà per farsi bevute a scrocco.

Lisandri, era più di un contadino! Era forse l'ultimo emulo di colono legato alla tradizione bimillenaria della colonizzazione romana i cui quiriti insegnarono l'arte della coltivazione e i mestieri attinenti tramandati nelle generazioni, come dimostra la formella con la testa di bue sull'Arco d'Augusto, che significa Rimini colonia romana.

Nell'aprile del 1944, durante la seconda guerra mondiale, un drappello di soldati tedeschi con carriaggi e cavalli si fermò un mattino nell'aia di Lisandri, mimetizzando i carri fra i pagliai perché di giorno era impossibile spostarsi essendo l'aviazione alleata padrona del cielo e mitragliava tutto ciò che si trovava sulle strade. Le truppe tedesche si spostavano solo di notte, erano soldati giovani che, durante la sosta, chiacchieravano a gesti con ragazzi e ragazze riminesi in mezzo alla strada.

Quella volta Lisandri fece un giro intorno al gruppo, si fermò, guardò i tedeschi, si mise di spalle ed emise un peto fragoroso. I tedeschi offesi misero mano alla pistola e non fu facile calmarli spiegando che si trattava di un vecchio malato. Non si capì se fu atto volontario o naturale come sua abitudine, però i suoi occhi erano vividi. Mal sopportava l'intrusione nella sua aia. Scomparve nella sua casa rurale durante il passaggio del fronte.

Virginio Cupioli