ACCADDE

Il socio Benito Colonna, classe 1937, ci ricorda come dopo il secondo conflitto mondiale il nostro territorio terrestre e marino fosse spesso funestato da eventi luttuosi causati da ordigni bellici, pericoloso lascito di guerra.

Il mare calmo, liscio come l'olio, le due barche a fondo piatto: la Gina e la Stella Marina adibite alla pesca delle vongole, si erano portate in prossimità della costa all'altezza di Viserba, all'incirca di fronte alla via Polazzi, per effettuare una pescata. Proprietari delle barche e degli attrezzi i Conti, parenti quei Conti di Rivabella conosciuti col nomignolo di Ragnoun che possedevano: batane, rete da tratta e altre attrezzature di pesca.

L'alba appariva meravigliosa e il sole aveva già fatto capolino dall'ancora cupo mare tingendo l'orizzonte di rosso. Giunte che furono le due barche sul posto di pesca, gli uomini iniziarono il loro duro lavoro. Siamo sul posto giusto, cala il minacul: era Giovanni che impartiva ordini all'amico Aldo.

Per i sei componenti i due equipaggi, nonostante il duro lavoro, era una giornata bella, il sole brillava nel cielo, il mare era amico. Sulla barca più piccola (balanino col nome Marco) c'erano: Conti Aldo di anni 22 e Conti Pietro di anni 25 (Tini), entrambi fu Enrico, Giovanni Venturini di Giuseppe di anni 24 detto de Gnaf. Sull'altra barca, (batana grande) l'equipaggio era composta da: Biagini Bruno di Aldo di anni 17, Emilio Venturini di Giuseppe di anni 37, Quinto Leardini di Carlo di anni 32.

Dei tre componenti ciascun equipaggio, due uomini erano intenti alla manovra dell'argano (minc) mentre il terzo stava altalenando il movimento della lunga pertica (batéca) collegata allo scaioun idoneo a raccogliere vongole dal fondale. Fra le due barche, distanti fra loro una cinquantina di metri, era in corso una conversazione tranquilla. Da premettere che con la superficie del mare piatta, la propagazione delle onde sonore è notevolmente facilitata.

La zona dove stavano pescando era poco trafficata dagli altri pescatori anche se le vongole erano abbondanti e di notevole pezzatura, perché era risaputo che, in previsione di dover ostacolare un possibile sbarco delle forze alleate, sul fondale erano state poste dai militari tedeschi delle trappole, mine conosciute col nome di cavalletti.

A quanto ho potuto sapere questi marchingegni erano composti da un blocco di cemento, in parte insabbiato, che fungeva da ancoraggio, con alla sommità un incavo contenente la carica esplosiva col relativo detonatore. Dal blocco s'innalzavano tre tondini che formavano una piramide sulla cui sommità era posto un marchingegno che urtato faceva precipitare entro un tubo del mercurio che toccando il detonatore lo innescava facendolo agire sulla carica esplosiva.

Quelle mine, posizionate in una lunga sequenza a distanza irregolare una dall'altra coprivano una lunghezza di qualche chilometro seguendo il disegno della costa, ma non parallele ad essa. Disposte da Ostro a Tramontana formavano uno sbarramento in acqua non troppo profonda. A quanto ho potuto appurare durante le ricerche, partivano all'incirca all'altezza di Rivabella e terminavano a Viserba, all'altezza della Torretta, villa signorile anni '20, ancora oggi esistente.

Gli uomini erano consapevoli del pericolo che correvano, ma conoscendo a fondo la posizione delle mine, controllando il percorso a vista data la limpidezza dell'acqua, procedevano, come avevano fatto tante altre volte, abbastanza tranquillamente.

continua
Benito Colonna