STRASCICO DI GUERRA

Il socio Luciano Casalboni, classe 1948, sulla base delle memorie del padre Leo, ex partigiano e ferroviere, ci racconta come fosse ancora fragile nel dopoguerra il quadro politico e come gli echi del conflitto tardarono a sopirsi.

Finito il periodo bellico iniziava l'era della ricostruzione. Leo tornò a lavorare all'Officina Locomotive dove era impiegato come tornitore prima di partire soldato. Ci tornò in duplice veste, oltre al suo lavoro ebbe l'incarico da dirigenti dell'ANPI di sovrintendere al servizio d'ordine e di fare da collegamento con la cellula politicizzata dell'officina. In caso di necessità l'impianto era un punto strategico, con oltre mille dipendenti, con una capacità industriale che aveva lo stesso potenziale di una caserma militare.

Il suo compito consisteva nel sorvegliare e salvaguardare la santa barbara che era stata nascosta proprio sotto il suolo. Attraverso le fognature era stato piazzato un deposito di armi e munizioni. Le armi erano state immerse dentro barili riempiti di grasso, mentre le munizioni occultate in casse contenenti bulloneria.

Le autorità immaginavano la presenza di questo deposito e ogni tanto mandavano i carabinieri a perlustrare l'officina. Leo doveva accompagnare i carabinieri nei vari reparti dove, ovviamente, non si trovava nulla. Facevano aprire tutte le botole, anche quella della fognatura che ospitava il deposito occultato. Ma non scendevano loro, ci mandavano Leo che quando risaliva diceva che non c'era nulla, loro facevano dei segni sopra un registro e se ne andavano.

Non si è mai capito se non scendevano per non sporcarsi e non subire le esalazioni pestilenziali, oppure per non trovare quello che stavano cercando. Con il tempo quel deposito è stato riempito di terra e sopra vi hanno costruito una strada.

Non era l'unico deposito che Leo sorvegliava, ne erano stati approntati diversi in varie località del territorio, Leo ne aveva una mappa impressa in mente. Erano stati usati poderi di contadini legati alla resistenza e, quando i terreni passavano di mano, Leo veniva informato e si procedeva al recupero e al trasferimento dei barili e delle casse.

Ogni tanto le armi venivano controllate ed eliminate in base alle loro condizioni e vetustà, questo avvenne fino al loro esaurimento, fortunatamente non sono più servite. Di armi ne aveva anche nella cantina di casa, alcuni Enfield, fucili inglesi di precisione, con i quali colpiva un bersaglio distante anche diverse centinaia di metri, due mitra Beretta, alcune pistole e casse di munizioni.

Durante il tentato golpe Borghese (anno 1970), una notte andò a gettare tutto dentro uno stagno, le armi erano ormai inservibili e mio padre rischiava l'arresto per la loro detenzione illegale. Disfarsene fu un vero peccato, se ci fosse stata la possibilità di denunciarle e tenerle, magari dandole a un museo sul genere di quello che c'è a San Savino, oggi potremmo ammirare altri ottimi reperti di guerra.

Luciano Casalboni