BORGHI

Il socio Virginio Cupioli (Tonino), classe 1926, ripercorre frammenti di ricordi giovanili soffermandosi in particolare su alcuni aspetti dei borghi cittadini di quel tempo, quelli che gli sono rimasti più impressi nella memoria. Il socio è stato l'autore di una pubblicazione privata denominata: "L'albero della vita".

Gironzolavo spesso per i borghi di San Giuliano, Marina e San Gaudenzio, quest'ultimo con l'arco di Porta Montanara la cui contrada era chiamata dei Magnen, (dei Magnani). Questa famiglia di artigiani del ferro era arrivata dalla Valvassina nel '400, quando i Malatesta governavano Brescia, centro del commercio e delle attività artigiane della città e del contado fino ai nostri giorni. A supporto aveva avuto nel passato il giudeo che funzionava da banca e praticava prestiti. Guardavo curioso la bottega medioevale, lo stemma trecentesco del palazzo Gozio dei Battagli nominato cardinale da Benedetto XII ad Avignone.

Nella via Ducale ammiravo gli stemmi dei fondaci della Repubblica di Venezia, testimonianza del dominio risalente ai primi decenni del secolo sedicesimo. Il borgo San Giuliano, sito fra i due ponti sul Marecchia, con i suoi vicoli stretti e olezzanti di aromi forti che inebriavano l'olfatto, risuonavano di echi locali provenienti da porte e finestre, i cui borghigiani testimoniavano la verace origine marinara attraverso l'inflessione del dialetto simile a quello dei portolotti, abitanti della zona portuale. Vi risiedevano i più noti vetturini e qualche famiglia marinara. Il tenue odore equino proveniente dalle stalle dei cavalli era nell'aria e si disperdeva lungo il fiume. Camminando fra le case si percepiva che era una delle caratteristiche più autentiche e genuine di Rimini.

Presso la chiesa di San Nicolò al Porto salivo sul cavalcavia pedonale in ferro affumicato che sovrastava i binari della stazione, in corrispondenza dello stradone dei bagni, viale Principe Amedeo. Dall'alto guardavo verso il mare e intravedevo lontano l'edificio del Kursaal, successivamente demolito e rimpianto. Guardavo sotto le locomotive che disperdevano il loro fumo e anneriva chi sostava a osservare il movimento dei treni in manovra o in transito. Su quel sovrappasso le mamme accompagnavano i loro figli a respirare le emissioni della combustione delle locomotive che bruciavano carbone coke, per distruggere il virus della tosse canina o pertosse. Tale cura era considerata efficace, anche se empirica.

Virginio Cupioli