Il socio Virginio Cupioli (Tonino), classe 1926, ritorna con la memoria al passato e alla sua giovinezza, soffermandosi in questo caso sul mezzo di trasporto allora essenziale: la bicicletta. Affiorano così nelle descrizioni di quei tempi aspetti divertenti e curiosi che riguardano consuetudini e modi di vita.
Il socio è stato autore di una pubblicazione privata denominata L'albero della vita.
Il mezzo di trasporto fondamentale per i residenti era la bicicletta, il cui costo elevato rendeva raro l'acquisto delle nuove. La maggioranza si arrangiava con quelle usate che comprava di seconda e terza mano. Molte donne non sapevano andare su di esse, erano utilizzate dai maschi a eccezione di rari casi.
I bambini e, qualche volta, anche le mogli venivano portati sulla canna, così come la merce, anche pesante, perché le biciclette erano di ferro e non si piegavano. Tutti sapevano arrangiarsi nelle riparazioni, particolarmente nelle forature; le camere d'aria e il mastice erano di pura gomma e l'attaccatura delle pezze erano efficaci, anche i ragazzi ne erano esperti.
In inverno, quando faceva freddo, alle manopole del manubrio venivano legate due pelli di coniglio con all'interno il pelo per evitare i raz tal dedi (intirizzimento delle dita). Il possedere una bicicletta prevedeva però il pagamento di una tassa di circolazione di 10 lire e il bollo di latta duttile prestampato veniva applicato sul supporto di ferro fra manubrio e forcella che, essendo anonimo, favoriva i furti dello stesso.
Le guardie municipali, Pizzardun come venivano chiamate, stavano molto attente e punivano il malcapitato trovato senza bollo con 10 lire di multa, più 10 lire per il bollo corrente. Chi girava senza bollo lo faceva per mancanza di soldi e percepiva questa tassa come ingiusta. Chi non poteva pagare poteva affrancarsi scontando in prigione, nel Castello Malatesta, tanti giorni quanti l'ammontare della pena, normalmente due giorni.
I multati si presentavano al custode della prigione con la ligaza (fazzoletto colorato grande annodato) dicendo: A vag magné i macarun de Padaion (vado a mangiare i maccheroni del Padaione). E Padaion era una mensa pubblica, allestita dal Comune, che dispensava piatti di minestra e maccheroni per i poveri in possesso della tessera di povertà rilasciata dalle Autorità.
La ligaza fungeva da contenitore e sostituiva la sporta ed era molto più pratica perché veniva usata quando occorreva, bastava un grande fazzoletto che si poteva tenere al collo o in tasca e annodarlo ai quattro angoli. Veniva usata come abitudine dagli abitanti del contado e, spesso, se ricolma veniva legata in cima al bastone e appoggiato alla spalla; tenuto per mano durante il cammino. I fazzoletti erano a quadretti con colori vivaci: bianco e rosso, rosso e blù, bianco e blù.
In vernacolo la ligaza veniva chiamata anche pzaza.
Virginio Cupioli