IL RITORNO DA ROMA NEL DECENNALE
DELL'AZIONE CATTOLICA DEL 1936

Il socio Vinicio Vergoni, classe 1926, ci racconta il suo viaggio da Roma a Rimini in treno. Sensazioni ed emozioni che, nonostante il tempo passato, gli sono rimaste nella memoria.

I sedili della carrozze erano di legno, il vociare dei bambini intenso e cos= alto che intervenne la signorina a tacitarli, subito dopo infatti si quietarono e il chiasso si trasformò in un sommesso cicaleccio.

Lui si sedette presso il finestrino e si pose con le spalle contro la direzione del treno. Suo padre macchinista gli aveva raccomandato che, affacciandosi dal finestrino, doveva volgere lo sguardo alla campagna che passava e non a quella che arrivava, riparandosi così gli occhi dal fumo e dai corpuscoli sprigionati dalla corsa della locomotiva.

Si alzò, aprì il finestrino e guardò quelli che erano ancora sul marciapiede e dovevano salire. Veneti soprattutto, che riconosceva dalla parlata, con grossi zaini variopinti e disegnati che facevano loro curvare le spalle. Il treno si mosse e, dopo poco, quando raggiunse una velocità sostenuta e la campagna scorreva verde e rigogliosa, si sedette.

Accanto si trovò la signorina che ancora armeggiava nella borsa alla ricerca di qualcosa. Ciao, gli disse e lui di malavoglia rispose: ciao. Avrebbe preferito avere un amico con cui chiacchierare, ma con lei così vicino non poteva farlo neppure con quello di fronte.

La signorina si era tolta il leggero soprabito di seta color prunella e si accomodò con in mano un piccolo libro di cui lui scorse solo una piccola parte del titolo di copertina che finiva in nima. Pensò che fosse una lettura che in qualche modo parlasse dell'anima.

Riguardò fuori, il treno correva veloce e la campagna scorreva sempre uguale e un po' monotona. A sprazzi il sole penetrava violento, lui tirò la tendina sporca e di colore indefinito. La signorina gli diede la voce: Hai fatto bene, quel sole dava fastidio. Erano quasi completamente in ombra, solo un pertugio si apriva all'orizzonte quando la vettura era scossa dal passaggio delle ruote sulle giunture dei binari.

Il sole stava calando e da quello scorcio vedeva una rossa palla di fuoco che non disturbava più di tanto. Immaginò la signorina spiaccicata nel cerchio che lentamente bruciava con linguette di un giallo luminoso che le uscivano dagli occhi, dalla bocca e giù da tutto il corpo, ma si ridestò dalla fantasticheria: la signorina gli accarezzava i capelli e gli parlò: sei stato un po' birichino oggi. Lui rispose asciutto: già. Lei lo abbracciò e continuando nel suo pensiero: ma io so che sei un bravo bambino. Lui non si ritrasse perché i due di fronte vedessero che era sempre nelle grazie, anche se birbante.

Quando il treno si fermò nella stazione di Foligno era quasi buio. Lui si scosse e guardò fuori. Pochi viaggiatori salirono. Cinque baschi azzurri scesero e abbracciarono i familiari. Uno lo riconobbe e lui lo salutò con un cenno dal finestrino chiuso. L'altro rispose agitando la mano e la sua mamma alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise. Chissà se le avrebbe raccontato che gli aveva tolto il basco dal capo e gettato per aria nell'euforia degli evviva al Papa.

Vi.Ve.
(continua)