DOPO L'8 SETTEMBRE

Il socio Luciano Casalboni ripropone un altro episodio delle memorie del padre Leo in cui racconta della sua latitanza e dello sfaldamento dell'esercito italiano dopo l'8 settembre 1943. Leo in fuga da La Spezia ritorna, non senza peripezie, a Rimini. Cerca rifugio in campagna presso il podere della famiglia della fidanzata, arrivandovi in piena notte e trovando riposo nel fienile.

In campagna è il gallo che dà la sveglia! La fatica, la stanchezza e il sonno passano in secondo piano, al loro posto prevale la fame, il desiderio di rivedere persone amiche e di abbracciare la Nives. Leo si levò la paglia di dosso e si diresse verso l'ingresso del casolare.

Il suo movimento fu percepito dai cani che presero ad abbaiare. L'avvertimento di una presenza arrivò alle orecchie di Cesare, il capofamiglia, che aprendo l'uscio, con grande sorpresa, si trovò di fronte un marinaio tutto impagliato e con la barba incolta. Fece fatica a riconoscere Leo che aveva scambiato per uno spaventapasseri.

In un battibaleno Leo fu accerchiato da tutta la famiglia, gioia, pianti, abbracci, curiosità e poi tutti a spingerlo in casa e a metterlo a proprio agio davanti ad una ciotola di latte di mucca e alla ciambella fatta dalla nonna Ceda (Annunziata).

Da quando era partito da La Spezia, Leo aveva mangiato di tanto in tanto in quanto per la sua strada aveva trovato poche locande. Per lo più si nutriva di frutti e ortaggi presi a ridosso della linea ferrata. Quando incontrava le persone che credeva giuste chiedeva qualcosa da mangiare in cambio di lavori manuali.

La gente del popolo capiva che era uno sbandato, un figlio che tornava a casa, e non faceva domande, lo ospitava dividendo quel poco che aveva: i poveri dividono anche il niente! In alcune occasioni ebbe anche modo di fermarsi qualche giorno presso casolari che necessitavano di manodopera. Gli serviva per rimettersi in sesto prima di riprendere il cammino. In quei casi aveva i pasti assicurati e un tetto sopra la testa.

Passata l'euforia chiese a Cesare se poteva restare nascosto nel podere. Cesare capiva perfettamente la posizione di Leo, lui stesso era stato disertore della grande guerra del 1917, era un pacifista e non sopportava l'idea di uccidere o essere ucciso. Questo gli costò l'infamia e un mandato di cattura che si estinse dopo 15 anni trascorsi nascosto nel podere senza mai uscire e farsi vedere, si era imposto gli arresti domiciliari.

Di tanto in tanto i carabinieri facevano irruzione per catturarlo, sapevano che doveva essere nei pressi perché i lavori pesanti non poteva farli la Ceda da sola e inoltre la donna era rimasta incinta ben cinque volte. Cesare aveva addestrato bene i cani che facevano la sentinella e aveva coperto con vegetazione l'ingresso di una piccola grotta che aveva arredato con un pagliericcio ove si rintanava fino a quando non cessava l'allarme. All'occorrenza quel sistema poteva funzionare anche per Leo.

Luciano Casalboni