UNA MATTINA SUL TRENO

La figlia del nostro socio Franco Dellavalle, Patrizia, ha appena pubblicato un libro di racconti (PattyD - Interferenze - Miraggi erotici intermittenti - Giraldi Editore). Per l'occasione ci propone un racconto in tema ferroviario.

L'arrivo alla stazione la mattina è sempre uno shock, nonostante che sono sveglia da più di un'ora. Gli occhi sono ancora pesanti e il cervello non ha ancora disinserito il pilota automatico. E non lo farà ancora per una buona ora, ovvero fino a quando non sarò seduta dietro a quel tavolo.

Gli altoparlanti urlano i loro annunci, mentre il rumore assordante dei treni che passano, copre quasi completamente il brusio della folla di viaggiatori che attendono. Qualcuno corre all'impazzata schivandomi appena, qualcun'altro urla verso il marciapiede opposto. Le mie orecchie respingono tutto ciò, e il mio cervello si chiude ancor più. Speriamo solo che lo scompartimento oggi non sia troppo animato così da rendere questo inizio di giornata il meno traumatico possibile.

Finalmente, arriva il mio treno. Salgo nella terza carrozza, come sempre, perché di solito è ancora vuota. Mi accascio su uno dei sedili a metà vagone. E attendo. Attendo che riparta ...Rimini, Santarcangelo, Savignano, Gambettola, Cesena, Forlì, Faenza, Castelbolognese, Imola, Bologna... Così recita tutte le mattine la voce della stazione... e io attendo, che passi tutte le stazioni intermedie fino ad arrivare a destinazione...

Trovo una poltrona vicino al finestrino. Quella che preferisco. Altri viaggiatori stanno cercando un posto, possibilmente lontano da tutto e tutti. Qualcuno si siede dall'altro lato del corridoio, fila centrale. Io guardo fuori come sempre. Lui guarda me. Lo vedo, riflesso nel vetro. Ha un bel viso e un bel corpo. Continua a fissarmi. Io continuo a fissare il vuoto e il vetro. Poi mi decido. Mi volto e il suo sguardo è lì sempre rivolto verso di me. Non sbaglio: sta guardando proprio me. Chissà perché.

Continuo a guardare altrove, o almeno così cerco di fargli credere. Intanto con la coda dell'occhio lo tengo sotto controllo. Chi sarà? Come si chiamerà? Dove starà andando? Prendo questo treno tutti i giorni eppure non l'ho mai visto. Magari anche lui è un pendolare. Forse non l'ho notato prima perché non mi interessava notarlo. Però adesso è qui. Adesso è davanti a me e mi sta fissando. Continuo a fare l'indifferente, ma in realtà non so cosa fare. Poi mi decido. Mi volto, lo guardo. I nostri sguardi si incrociano.

Qualcuno ha detto che gli occhi sono lo specchio dell'anima: in questo momento nel suo sguardo leggo tutta la curiosità e il desiderio che aleggiano dentro di lui. Ma lo so, l'ho visto: è la mia finta indifferenza che lo ferma, che gli impedisce di parlare. È bello, mi piace, ma non ho la forza, ne la voglia, di affrontare le schermaglie verbali di un approccio mattutino. Così lascio che i suoi sguardi sfiorino il mio viso, che le domande taciute cadano nello spazio fra noi.

Poi il treno si ferma lui si alza e se ne va. E io maledico la riluttanza e il riserbo, che mi impediscono di dare corda ad ogni sconosciuto che incontro su questo treno. Maledico questo giorno e le occasioni perse. Il treno riparte, e io torno a fissare il vuoto oltre al finestrino, con la segreta speranza che si ripresenti l'indomani, su questo treno, in questo scompartimento, su quella stessa poltrona, con l'illusione che le nostre voci possano finalmente pronunciare una cosa qualsiasi.

Patrizia Dellavalle