L'arredo urbano di Piazza Tre Martiri fu rinnovato pochi anni orsono; forse in pochi avranno notato, nei pressi del Tempietto (la Cappella di Sant'Antonio), uno strano fregio che interrompe la pavimentazione; forse qualcuno se ne sarà anche chiesto, incuriosito, il motivo.
Quella strana decorazione sta a ricordare l'esatta posizione in cui fu eretta la forca alla quale furono barbaramente impiccati, il 16 agosto 1944, i Tre Martiri (Tre Martiri è la denominazione che accomuna i tre partigiani Mario Cappelli, Luigi Nicolò e Adelio Pagliarani), ai quali fu poi anche intitolata la piazza stessa.
Essi rappresentano il simbolo della Resistenza e dei Caduti, nella lotta di Liberazione, nel territorio della Provincia di Rimini. I tre giovani partigiani, attivi nella Resistenza riminese immediatamente dopo l'Armistizio, nell'estate del 1944 facevano parte della 29a Brigata GAP Gastone Sozzi.
Durante un'operazione di sabotaggio a una trebbiatrice, con l'obbiettivo di impedire la trebbiatura del grano da consegnare ai nazifascisti, un gappista riminese fu riconosciuto e denunciato. Catturato fu costretto, sotto tortura, a denunciare i compagni di lotta. Grazie a queste informazioni i tre partigiani, che avevano come sede operativa la vecchia caserma di Via Ducale, vennero sorpresi dai nazifascisti il 14 agosto. Imprigionati e torturati non rivelarono i nomi dei loro compagni.
Processati e riconosciuti colpevoli da un tribunale tedesco, il 16 agosto vennero condotti in piazza e impiccati alle sette del mattino. La forca era ancora in piedi, tra le macerie, quando un mese dopo, il 21 settembre 1944, le truppe alleate entrarono in città.
Il 9 ottobre 1944 la Giunta Municipale deliberò di cambiare il nome di Piazza Giulio Cesare in Piazza Tre Martiri. Sul muro di un vicino edificio è posta una targa ricordo in bronzo. Un'altra lapide ricorda la base partigiana dove furono catturati i tre giovani, posizionata sulla facciata della vecchia caserma: in Via Ducale al civico 5.
... hanno trascinato via i tavoli, i loro corpi hanno traballato poi sono rimasti sospesi e immobili; un attimo prima Capelli ha gridato "Viva Stalin", Nicolò e Pagliarani gli hanno fatto eco "Viva Stalin"...
Un grido che spiega come il comunismo di Stalin fosse allora sinonimo di antifascismo. In realtà il loro stalinismo, probabilmente, non era altro che una necessità di giustizia e di libertà poiché allora erano completamente all'oscuro di quella che poteva essere la realtà sovietico-stalinista. Ipotesi confermata dal fatto che, nonostante questa viva fede comunista che li animava, dalle loro ultime lettere, che scrissero alle famiglie dal carcere, si desume la coesistenza di un'altrettanto profonda fede religiosa.
Ri.Ba.
