UNA BRAVA PERSONA

Il socio Luciano Casalboni ci racconta un episodio accaduto nel dopoguerra sul posto di lavoro, presso le Officine Grandi Riparazione, al padre Leo, ferroviere ed ex partigiano.

Finito il periodo bellico iniziava l'era della ricostruzione. Leo tornò a lavorare all'Officina Locomotive, dove era impiegato come tornitore da prima di partire soldato e partecipare alla lotta di liberazione. Ci tornò in duplice veste, oltre che gestire il suo lavoro ebbe l'incarico dall'ANPI di sovrintendere al servizio d'ordine e di fare da collegamento con la cellula politicizzata dell'officina.

A dirigere il reparto ove Leo operava fu assunto un giovane Capo Tecnico il quale, accortosi che di tanto in tanto Leo spariva per svolgere controlli di routine ufficialmente non autorizzati, gli fece una lavata di capo davanti ai colleghi di lavoro minacciandolo di emettere sanzioni disciplinari se non ne avesse fornito le motivazioni.

L'aria si caricò di tensione, si fronteggiavano due posizioni: quella ufficiale dell'azienda e quella in incognito di militante politico. Una delle due doveva sopraffare l'altra. La prima mossa la fece Leo, abituato alla battaglia sapeva che doveva colpire per primo per impedire all'altro di nuocere. Gli mollò un ceffone. Il Capo Tecnico, che non si aspettava una reazione violenta, rimase immobile e quando vide che il resto del personale riprese a lavorare facendo finta di nulla forse capì di essersi imbattuto nella persona sbagliata.

Il gesto poteva costare caro a Leo, una denuncia penale per lesioni a un superiore e il licenziamento. Invece la cosa non ebbe seguito, probabilmente consigliato dalla dirigenza il Capo Tecnico si dimostrò intelligente, fece finta di nulla, tutto passò inosservato e per questo motivo si guadagnò anche la stima degli operai.

Venticinque anni dopo, a mia volta, fui trasferito da Bologna in quel reparto. Quello stesso giorno, mentre nell'ora di pranzo ero in mensa, un anziano operaio mi affiancò e mi raccontò di quel fatto.

Nel pomeriggio il Capo Tecnico in questione mi contattò e mi chiese se ero il figlio di Leo. Al mio assenso rispose con un sorriso beffardo che mi mise all'erta, mi balenò il timore che volesse vendicarsi su di me. Una supposizione infondata perché quella persona si dimostrò corretta e gradevole. Ancora oggi, che siamo entrambi in pensione, ci salutiamo con rispetto e tutte le volte che ci incontravamo prima che Leo morisse non mancava di chiedermi notizie sulla sua salute.

Luciano Casalboni