UN CAMPO D'ORTICA

Il socio Luciano Casalboni ci ripropone, nei trascorsi della seconda guerra mondiale, ricordi del padre Leo. In questo caso ci racconta una scaltra e coraggiosa, fuga dopo essere incappato in una retata tedesca.

Sorpreso durante un controllo senza documenti fu fatto prigioniero e caricato assieme ad altri su di un camion per essere avviato in Germania. Immediato corse il suo pensiero a escogitare un piano di fuga. L'occasione si presentò dopo circa trenta chilometri: tra Cesena e il bivio di Bertinoro vi è una piccola collinetta alla cui sommità c'è un gruppo di case.

Il camion iniziò la salita ma dovette fermarsi prima di scollinare perché un bombardamento aveva fatto crollare una casa le cui macerie ostruivano la strada. I prigionieri furono fatti scendere e, sotto il controllo dei militari armati, costretti a liberare la strada, buttando le macerie giù per la scarpata, dalla parte opposta della casa distrutta.

Nel fare la spola Leo notò che la scarpata scendeva per circa cinque metri, per finire in una distesa d'ortica fitta e alta sul metro e mezzo. Ogni mattone che gettavano finiva in mezzo all'ortica mentre al di là vi era un sentiero che costeggiava i campi di granoturco. Al ritorno da ogni viaggio Leo controllava le sentinelle.

Dopo circa venti minuti avevano liberato circa un terzo delle macerie, a quel punto le sentinelle allentarono la guardia, si riunirono per fumare una sigaretta e dissetarsi. Era l'occasione attesa. Prima di lanciare il suo carico diede una occhiata e valutò per un attimo l'opportunità di seguirlo, cosa che fece gettandosi a capofitto dentro l'ortica. Atterrò a pesce per poi strisciare sui gomiti, all'inizio velocemente per guadagnare il centro del campo e successivamente molto lentamente in modo che dall'alto non si potesse vedere lo spostamento delle foglie.

Chi conosce l'ortica sa che si comporta come ogni tipo di pianta, le foglie si dirigono verso il sole facendo un cappello impenetrabile, mentre fino all'altezza di una quarantina di centimetri da terra, proprio per la mancanza di luce, le foglie sono molto rade per cui nello strisciare e sfiorare il fusto si hanno meno danni, inoltre è noto che la pagina inferiore delle foglie non è urticante.

Dopo circa una quarantina di minuti, un centimetro alla volta, aveva guadagnato una dozzina di metri. Praticamente si era lasciato alle spalle il camion ed era parallelo alla strada, a quel punto dovette fermarsi e prestare ascolto a cosa sarebbe successo. Evidentemente lo sgombero era finito e stavano facendo salire i prigionieri, quando dalla conta si accorsero che ne mancava uno, iniziarono le grida d'allarme.

Alcuni militari concitatamente si sparpagliarono alla ricerca del fuggiasco. Leo sentiva calpestare la strada sopra la sua testa, sapeva che non potevano vederlo, sperava solo che non decidessero di ispezionare dentro l'ortica. Probabilmente i tedeschi pensarono che il fuggitivo fosse scappato dentro il granoturco, a nessuno venne in mente che un pazzo potesse infilarsi nell'ortica e restarsene nascosto così vicino. Era più logico pensare che il fuggitivo se la fosse data a gambe il più velocemente possibile.

Poi qualcosa gli fece saltare il cuore in gola, a stento cercava di vincere la paura, trattenendosi dall'alzarsi e mettersi a correre. I tedeschi avevano iniziato a sparare all'impazzata, scaricando i loro mitra contro il granoturco. Ma non durò a lungo, infatti poco dopo se ne andarono.

Leo sentì il camion mettersi in moto e partire. Non avevano sparato a lui e neppure dentro l'ortica, ma temeva che per rappresaglia potessero uccidere i prigionieri. Si sentiva responsabile di un eccidio. Non voleva muoversi, pensava fosse un trucco per farlo uscire, magari qualche tedesco era rimasto per tendergli un'imboscata. Quando sentì il rumore di un motore pensò che fossero loro che tornavano, invece era un altro mezzo che proveniva dalla parte opposta e che transitò senza fermarsi.

A quel punto si rincuorò, preso oramai da un prurito simile a una continua scossa elettrica per effetto della tossicità dell'ortica, e decise di uscire allo scoperto. Lentamente e circospetto tornò sulla strada, non si vedeva né si sentiva alcuno. Si recò nel retro dell'abitazione bombardata, in quello che doveva essere un cortile. Sotto alcune macerie si intravedeva il telaio di una bicicletta, liberatala si dimostrò un catorcio funzionante, fortunatamente le gomme erano sufficientemente gonfie da renderla pedalabile, non gli restava altro che prenderla e andarsene.

Luciano Casalboni