Il socio Vito Milano (Tonino), classe 1926, ricorda un episodio di guerra: il più distruttivo e sconvolgente bombardamento aereo che subì la nostra martoriata città nel secondo conflitto mondiale.
Una grazia credo di averla ricevuta proprio nell'occasione del bombardamento aereo su Rimini del 28 dicembre 1943. Reclutato dalla famosa organizzazione tedesca TOD, lavoravo da una quindicina di giorni agli scavi lungo i binari della stazione ferroviaria, per la risistemazione delle varie condutture danneggiate dai precedenti bombardamenti. Ecco che, a metà mattina, la sirena d'allarme avvertì del pericolo di bombardamenti. Immediato il fuggi fuggi generale.
Anche in questa occasione mi preoccupai più dello stomaco che del pericolo incombente. Avevo con me un portavivande con la minestra portata dalla campagna. Mi recai di corsa alla mia casa in viale Tripoli. Non ci pensai più di tanto, salii in cucina e con quattro stecchi accesi la stufa economica per scaldare quella povera ma appetitosa minestra di sole verdure e patate.
Non feci comunque in tempo a gustarla che, in lontananza, si udì il rombo degli aerei. Di corsa scesi in cortile per fuggire, tirandomi dietro il portoncino, dimenticando di prendere il cappotto, le chiavi di casa e della bicicletta, costretto così a fuggire a piedi senza allontanarmi troppo. Dopo pochi minuti, non udendo più alcun apparente rumore di aerei, tornai a riprendermi quanto avevo dimenticato, ma ecco di nuovo, ancora più distinto, il rombo delle fortezze volanti e, immediata, la pioggia delle bombe devastatrici e vicinissime. Giusto il tempo di scendere in un sottoscala, rifugio molto illusorio.
Quello fu il più grosso e devastante bombardamento che, oltre il centro città, colpì anche tutta la periferia, dai piedi della collina di Covignano e Spadarolo. Al piano di sopra sentivo il fracasso di porte e finestre che stavano andando in frantumi. Per me fu certamente lo spavento più grande provato durante tutta la guerra. Mi sentivo sballottato come se fossi su di una scassatissima vettura ferroviaria o durante un tremendo terremoto. Con me avevo una piccola lupetta rimasta a guaire dietro il portoncino dove mi ero rifugiato. Anche lei a ogni deflagrazione si spaventava e agitava.
Finalmente, cessata la prima lunga ondata di bombardamenti, inforcai la bicicletta e mi avviai di corsa verso la periferia, a volte proseguendo a piedi per la gran massa di macerie sparse per le strade. Pedalando veloce mi voltavo in continuazione a guardare il cielo gremito di nuovo dalle fortezze volanti provenienti dal mare, quasi mi rincorressero. Raggiunta la campagna mi rifugiai tra la vegetazione della collina, piangente assieme alla mia cagnetta, mentre la nuova devastante incursione colpiva l'intera città e periferia.
Uscito illeso da questa spaventosa avventura mi considerai miracolato. Tornata la tregua, attraverso impervi sentieri, superai la collina di Covignano e su e giù fino a risalire l'altra collina di Vergiano raggiunsi l'abitazione dove ero atteso dai familiari in apprensione. Soltanto all'indomani tornai alla casa di città dove constatai che, nonostante vetri e infissi rotti non aveva subito danni considerevoli.
Per altri tre giorni tornarono le fortezze volanti a ridurre la città uno spettrale cumulo di macerie a cui seguirono, per un intero anno, altri innumerevoli bombardamenti. Così si concluse tristemente l'anno 1943.
Vito Milano