IL RACCONTO DEL NONNO

Camminava lentamente per la stradina lastricata di pietre squadrate e si soffermava, ogni tanto, per tirare il fiato. La stradina, lievemente in salita, si faceva sentire. Il vecchio cuore di Gianni batteva forte, le gambe erano diventate legnose e le ginocchia erano indolenzite. Sembrava non finire mai. Aveva preso il tram ed era sceso all'undicesima fermata. La villa si stagliava in alto, in cima alla collina. Non credeva che per arrivarci fosse così lunga e così erta. Quasi si era pentito di avere accettato quell'invito del compagno Assessore. Lo conosceva poco. Quando si incontravano c'era sempre stato solo un cenno di saluto.

Altra generazione pensava. Adesso tocca a loro, e gli tornarono in mente gli oltre quarant'anni di lotta dura, d'incertezza, ma anche d'entusiasmo. Di soldi, allora, se ne vedevano pochi e ricordò quando il vecchio Marchi gli dava 500 lire e si raccomandava: guarda che devono bastarti per una settimana.

C'era in Federazione una moto, rossa naturalmente, ed era di tutti. Con quella si andava nella stalla o sull'aia di un compagno contadino dove si radunavano gli altri. Si parlava di rendita fondiaria, del lodo, si incitava a tener duro nell'alleanza con la classe operaia. Quei piccoli comizi finivano sempre con l'evviva al socialismo e alla libertà. Quanti sogni. Sarebbe arrivata l'ora, ne eravamo certi.

Ricordò quella volta in questura, dopo il finimondo in piazza con la celere scatenata: fermato e caricato come un sacco su un cellulare. Alla domanda del questurino: Che lavoro fai? Aveva risposto: Il rivoluzionario di professione. Era molto giovane e loro gli fecero la faccia gonfia. Poi la scossa Kruscev al XX Congresso, la tragedia ungherese, Tambroni; quando i dirigenti del PCI e i sindacalisti non dormivano in casa per timore di un colpo di stato. Eh, adesso è tutto cambiato. Non c'è più l'Unione Sovietica ed è tramontata la speranza di fare il Socialismo, quello vero, non reale.

Camminava, Gianni, sempre più lento, con le mani incrociate dietro la schiena, leggermente curvo in avanti come certi pattinatori. Inspirava forte per fare affluire più sangue e il profumo delle ginestre lo inebriava. Ce n'erano tante ai lati e accompagnavano il cammino, su, sino alla villa. Doveva essere una rimpatriata, così aveva capito, di vecchi compagni e amministratori del vecchio PCI con un gruppo di più giovani dirigenti di oggi, quelli del nuovo turno e partito.

Giunse a fatica nel piazzale dove c'era la villa del nuovo assessore che lui conosceva appena. Bella e tanto grande; nello spiazzo laterale c'erano già tante macchine giunte dalla strada provinciale. Si fermò ancora una volta e contemplò: Doveva essere ricco di famiglia. e ricordò allora quando con Ada trovarono la prima camera, con servizio da cucina, per mettersi assieme. Sembrava una grande conquista. Poi i tempi cambiarono. Venne il miracolo. Anche i dirigenti si fecero l'appartamento con le COOP e il mutuo. Lui l'aveva finito di pagare due anni prima.

Ma qui, accidenti: che sfarzo. Sotto tutti quei pini era imbandita una tavola così lunga che, a occhio e croce, poteva contenere cinquanta invitati. Le cameriere erano vestite di rosa con il grembiulino bianco ricamato e la crestina. Davano un tocco di grande mondanità. Si trovò perso, perché non vide nessuno che conosceva e ripensò che aveva fatto male ad accettare. Fra le macchine parcheggiate intravide una Ferrari e poi una Mercedes. Di chi erano quelle auto?

Vi. Ve.
(continua)