UOMINI ALLA MACCHIA

Il socio Casalboni Luciano, in base alle memorie lasciate dallo scomparso padre Leo, si sofferma su alcune fasi della guerra partigiana di liberazione alla quale partecipò come tanti altri giovani di quella generazione.

In base alle condizioni, alla quantità di partigiani disponibile e al loro armamento le azioni diventavano via via più sofisticate e audaci. Si cominciò con l'andare a cercare le armi là dove si trovavano, in particolare nelle caserme, nei piccoli comandi dei carabinieri non raggiungibili in tempi brevi da tedeschi e fascisti.

Leo si presentava all'uscio fingendo di dovere inoltrare una pratica, ma quando la porta veniva aperta alle sue spalle sopraggiungeva il resto del gruppo armato facendo irruzione. A scoraggiare ogni tentativo di reazione bastava la presenza di due giganti russi (fuggiti dalla prigionia), che impugnavano enormi fucili mitragliatori e avevano le cartucciere incrociate sul torace stile Rambo.

In linea di massima i carabinieri facevano buon viso a cattivo gioco. La loro istituzione era basata sul controllo dell'ordine pubblico e in periodo di guerra civile prevaleva il sentimento popolare che vedeva in quei giovani ribelli la gioventù che si sacrificava, non potevano solidarizzare e dovevano denunciarli, ma Leo giura che più di una volta si è sentito gridare dietro frasi del genere: fate attenzione - buona fortuna - in gamba ragazzi - ecc.
Non è una novità che i tedeschi sospettavano dei carabinieri tant'è che molti sono stati arrestati e passati per le armi accusati di collaborare con i partigiani.

Una volta raccolte, le armi dovevano essere trasportate ai comandi delle brigate garibaldine in montagna per essere impiegate in azioni di guerriglia. Bisognava attraversare boschi e versanti impervi seguendo sentieri conosciuti da pochi servendosi di muli e cavalli. Leo, che sapeva stare in sella, faceva la spola; ma un giorno il cavallo che montava, probabilmente dolorante per la pressione di una pesante cassa di munizioni, si impennò facendo volare a terra il fantino che, cadendo, picchiò violentemente la testa. Si temette per la sua vita, si risvegliò in stato confusionale dopo tre giorni di coma. Si riprese ma con postumi cervicali e dolorosissimi mal di testa che lo accompagneranno per gli anni a venire.

Luciano Casalboni