Nell'anno 1978 prestavo servizio, come capo gestione, presso la biglietteria della stazione di Forlì. Il capo ufficio, un dirigente molto preparato, aveva alle spalle una lunga esperienza lavorativa maturata in un grande impianto: la biglietteria di Bologna. Era una persona altruista, molto collaborativa, stimata da tutti.
Un neo però lo possedeva: il temperamento sanguigno, la pazienza non era il suo forte. Era sempre pronto a intervenire per aiutare e a sedare o dirimere qualsiasi controversia o accenno polemico che gli agenti, addetti al contatto con il pubblico, potevano avere.
Ma proprio per il carattere che si ritrovava, spesso, le questioni più che risolverle le complicava. Guai, poi, se il malcapitato assumeva un atteggiamento indisponente, arrogante o maleducato, facilmente perdeva le staffe e la situazione poteva degenerare anche in un veemente scontro verbale.
Ricordo un episodio che ebbe la sua conclusione in tribunale. In un tranquillo pomeriggio della tarda primavera di quell'anno mi si presentò allo sportello un viaggiatore che chiese un biglietto per Ancona, a prezzo ridotto con la concessione C, che era allora la più diffusa ed era applicata a favore dei dipendenti statali.
Gli chiesi, come di norma, la tessera che ne dava diritto, per verificarne la validità e riportarne il numero sul biglietto che avrei dovuto rilasciare. Con mia sorpresa mi oppose un secco rifiuto. Ripetei la richiesta e mi rispose: tutt'al più posso darle il numero della tessera ma non intendo assolutamente mostrarla. Gli ribattei: guardi o me la fa visionare o altrimenti sono costretto a rilasciarle il biglietto a tariffa intera. L'interlocutore però non intendeva ragioni e sempre più irritato pretendeva ostinatamente il rilascio del biglietto alle sue condizioni.
A quel punto scoccò la scintilla. Il capo ufficio, che fino a quel momento in disparte e in silenzio aveva assistito alla scena, improvvisamente mi affiancò e la situazione, già carica di tensione, precipitò. Paonazzo in volto, accigliato, con voce alterata e perentoria, intimò all'uomo di finirla d'infastidire e di allontanarsi.
Costui reagì immediatamente con sdegno urlando a squarciagola una sequela ininterrotta d'insulti, suscitando un tale schiamazzo da fare accorrere gente, compresi due agenti polfer che lo invitarono a calmarsi e mostrare i documenti.
Più che mai adirato prese a inveire anche contro di loro. Sembrava avere perso il lume della ragione e con un gesto inconsulto strattonò uno degli agenti, che perso l'equilibrio, cadde a terra. Ne nacque una breve colluttazione al termine della quale, scortato dai due agenti, fu condotto al Comando della Polizia Ferroviaria dove, una volta verbalizzato l'accaduto, fu denunciato per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale.
Qualche mese dopo fu celebrato il processo al quale partecipai come testimone. In quell'occasione l'avvocato dello sventurato imputato rivelò perché non aveva presentato la tessera di concessione: sulla stessa era riportata la sua qualifica lavorativa, per lui modesta (commesso), della quale si vergognava.
Giovanni Vannini