SUL FILO DEL RASOIO

Il socio Luciano Casalboni, in memoria del padre Leo, si sofferma su una vicissitudine a questi capitata durante la guerra partigiana.

Leo, durante la lotta partigiana, più di una volta fu catturato, ma sembrava proprio che la sorte fosse dalla sua parte. Sorpreso in una riunione fu arrestato insieme a Decio Mercanti, Elio Ferrari e altri e portato nel carcere di Forlì per essere processato.

Divideva la cella con Elio, il quale era molto credente e passava diverso tempo inginocchiato a pregare perché contro di loro fu emesso il verdetto di fucilazione. Leo cercava di tenere su il morale e gli diceva che avrebbero escogitato qualche cosa, di farsi suggerire dal suo Dio qualche idea.

L'idea non venne e i due furono destinati a scavare le fosse per le fucilazioni, ironia della sorte due fosse sarebbero servite a ospitare loro. Mentre spalavano suonarono le sirene per annunciare l'arrivo dei bombardieri, nel parapiglia che ne seguì, in cui ognuno pensava a sé alla ricerca dei rifugi, loro furono abbandonati sul posto; Leo strattonò Elio dicendogli che il suo Dio aveva risposto, ma che bisognava scappare rischiando di rimanere sotto le bombe.

Guadagnarono qualche chilometro dirigendosi sulla statale, quando l'allarme cessò si trovarono in mezzo ad attrezzi abbandonati da lavoranti che sistemavano la strada, uno prese la carriola piena di ghiaia e l'altro due badili e si allontanarono dirigendosi verso Rimini.

Dovendo mettere più spazio possibile dai loro carcerieri non disdegnavano l'idea di chiedere un passaggio a qualche mezzo in transito. Quando sentirono il rumore di un camion provenire da dietro si girarono nell'atto di fare quello che oggi si chiama autostop. Rimasero di stucco quando si accorsero che era un camion di tedeschi, l'autista si fermò e chiese dove erano diretti: a Rimini risposero i due, anche loro si dirigevano a Rimini e li fecero salire.

Il cassone era colmo di soldati seduti sulle panche, da un lato si spostarono facendo posto ai due, di fronte a loro sul lato opposto uno dei militari li squadrava in continuazione e ogni tanto lasciava partire una parola che li faceva rabbrividire partzanen. Per tutto il viaggio, oltre agli scossoni della strada dissestata, dovettero sopportare quel ritornello.

Quello che i due non riuscivano a capire era lo scopo, gli altri militari sonnecchiavano indifferenti, mentre quello sembrava volergli dire: Lo so che siete partigiani che state scappando, non crediate di farci fessi, per vostra fortuna abbiamo altri incarichi. Grazie al cielo arrivarono alla periferia di Rimini e poterono riacquistare la libertà di ritornare in clandestinità e raggiungere i distaccamenti partigiani.

Luciano Casalboni