Il socio Benito Colonna, classe 1937, negli anni sessanta ferroviere con la qualifica di Macchinista nel compartimento di Torino, ci racconta cosa gli accadde, durante una pausa dal servizio sul Lago Maggiore, nell'amena cittadina di Arona.
Come aiuto macchinista, per qualche anno, ebbi un giovane calabrese proveniente dal Genio Ferrovieri: Nesticò Fernando. Eravamo diventati veri amici e lui si era affezionato a me come a un fratello maggiore. Avevamo in comune la passione per la pesca.
Un pomeriggio, alla fine di giugno, il treno che stavamo effettuando da Torino, passando per Santhià, Romagnano e Borgomanero, ci portava ad Arona. Dal momento che dovevamo restare nella località per la dormita notturna e rientrare in sede con altro treno al mattino seguente, avevamo progettato di andare al lago a fare una pescata e poi, nella rimessa locomotive, accendere un fuoco e farci un'arrostita col pescato. Per l'occasione avevo portato graticola e condimento. Il proposito era buono, ma avremmo potuto realizzarlo? Come dice il proverbio: Stavamo vendendo la pelle dell'orso prima d'averlo ucciso.
Ricoverate le macchine in rimessa, armati di canna, esche e buona volontà scendemmo al lago. Sarà stata la giornata, sarà stato il destino, sta di fatto che se dovevamo cenare col pescato, avremmo fatto le budella sottili. Fernando era proprio scoraggiato, propose una soluzione più che ovvia: Sarà meglio che passiamo alla mensa, altrimenti non so cosa possiamo mangiare con soli questi quattro pesci. Io non ero dello stesso parere: Se non erro, da qualche parte c'è scritto che qualcuno, con tre pesci, sfamò una moltitudine di persone, noi siamo solamente in due, abbi fiducia, seguimi e vedrai che il pesce non ci mancherà.
Mi guardò con fare interrogativo: Non so cosa ti frulla per la testa, mi sembra che tu abbia voglia di scherzare, e siccome non ho intenzione di venire fino al deposito per poi dovere tornare alla mensa, mi fermo fin da ora così risparmio una bella camminata. Allora gli spiegai quale era il mio piano: Hai veduto cosa c'è nel vascone che serviva un tempo per rifornire d'acqua le vecchie locomotive a vapore?
Il vascone era un grosso contenitore di cemento, lungo una quindicina di metri, largo quattro e profondo due: interrato e con i bordi fuori dal terreno per circa sessanta centimetri. Una fontana d'acqua fresca lo riforniva in maniera perenne da un lato e dall'altro capo ne usciva. Qualcuno, tempo prima, vi aveva seminato degli avanotti di trota; questi erano cresciuti diventando bei pesci di circa quattro etti l'uno. La cosa era sfuggita ai più, e forse anche a colui che li aveva messi, ma non a me.
Giungendo sul posto cercammo di non farci scorgere dal Caporimessa, unica presenza in loco. Quasi sicuramente era stato lui a mettere i pesci e poi se ne era dimenticato. Attendemmo che facesse buio poi, con un filo in mano e una bella esca, quatti quatti, ci dirigemmo al bordo della vasca. Quei poveri pesci, ignorando l'inganno, ci venivano in mano con la massima facilità. Ne catturammo sei o sette, li mettemmo dentro alla reticella assieme a quelli pescati al lago poi, tranquilli, ci dirigemmo nell'ufficio del Caporimessa.
Questi, nel vedere la nostra pescata, ci fece un sacco di elogi. Per contraccambiare gli dissi: La nostra intenzione è quella di fare un'arrostita, abbiamo tutto il necessario compresa la graticola, se vuoi unirti a noi sei il benvenuto, solo dovrai accontentarti perché il pane, il vino e il contorno erano previsti solo per due. A queste parole gli si illuminò il volto: Non preoccupatevi per questo, nel tempo di cuocere il pesce io faccio un salto a casa e ritorno col necessario.
Ritornò, di lì a poco, con un bottiglione di ottimo vino, un contorno già pronto di pomodori, cetrioli e cipolla già tagliati e solo da condire al momento, pane e frutta. Il pesce, ben condito, mentre arrostiva mandava un delizioso profumino. Durante la cena il nostro amico non faceva altro che elogiarci per gli ottimi pesci di lago e per il gradito invito, sperando che non fosse stato l'ultimo. Non sapeva che stava mangiando il suo pesce.
Benito Colonna