Il socio Benito Colonna, classe 1937, ci racconta come da ragazzino, nei tempi difficili del dopoguerra, si approvvigionasse periodicamente di cacciagione.
Sul lato monte della linea ferroviaria Rimini - Ravenna le varie trasmissioni telefoniche e telegrafiche erano assicurate da una miriade di fili di rame che formavano un grosso fascio sospeso a un'altezza di circa tre metri da terra. Isolati da bicchieri di porcellana, erano sostenuti da una struttura di pali di legno. Facendo tesoro dei racconti della nonna, imitando prima nonno Luigi, poi mio padre, anch'io sperimentai un sistema di caccia singolare che pochi altri conoscevano.
Nel periodo di passo degli uccelli, e cioè in primavera e in autunno, quando infuriava il vento di mare, all'imbrunire come a notte fonda, questi poveri volatili, per lo più tordi e allodole, sospinti dal vento impetuoso, volando bassi sulle onde per sfruttare meglio la spinta, arrivavano sulla costa a elevata velocità. Riuscivano a evitare quasi tutti gli ostacoli, ma purtroppo per loro quell'insieme di fili metallici era una trappola invisibile. Diversi, urtando violentemente, cadevano morti o gravemente feriti.
Al mattino, di buonora, cercando di non farmi scorgere, specie dai miei coetanei onde evitare possibili concorrenti, facevo il mio giretto lungo una scarpata della ferrovia, raccoglievo e occultavo dentro una borsina tutti i caduti. Al ritorno a casa consegnavo alla nonna il raccolto che ella sapientemente sapeva aromatizzare con pepe, aglio e rosmarino e un'aggiunta di olio. E col solito padellino il gioco era fatto.
Benito Colonna