PREMESSA ALLA LOTTA ARMATA

Il socio Luciano Casalboni, sulla base delle memorie del padre Leo, come lui ex ferroviere dell'OGR, ne ricorda un episodio quando militare, dopo lo sbandamento delle forze armate italiane a seguito dell'armistizio dell'otto settembre 1943, optò, come tanti altri, per il ritorno a casa.

Gli eventi precipitavano, la guerra era alle porte e Leo in età di leva fu arruolato in Marina, quando fu emanato l'armistizio si trovava su una silurante nel porto di La Spezia. Nel caos che ne seguì ogni soldato si trovava di fronte a una scelta, restare al proprio posto, arruolarsi nella repubblica di Salò o tornarsene a casa.

Spesso la scelta diventava collettiva, distaccamenti, plotoni, gruppi più o meno guidati optavano per una o per l'altra decisione, ovviamente condizionati dalla logistica e dalle opportunità che avevano di fronte.

Nella vicenda di Leo il personale della silurante decise di tornarsene a casa. Leo partì a piedi da La Spezia e si fece tutto il tragitto fino a Rimini camminando soprattutto nella penombra e seguendo la linea ferrata cercando di evitare sgraditi incontri che potevano costringerlo a cambiare la propria decisione, era stufo di fare il soldato, voleva tornare dai suoi cari, dalla Nives che non vedeva da troppo tempo.

Arrivò nei pressi della stazione di Rimini una notte mentre pioveva. La sua casa distava circa tre chilometri in linea retta lasciando alle spalle la stazione. Decise di non passare dalla stazione per non incontrare le ronde ma girare prima seguendo un itinerario che conosceva.

Mentre stava per abbandonare il sentiero che correva parallelo ai binari per imboccare la strada qualcuno gli intimò di fermarsi e di consegnare i documenti. Si trovò di fronte un fascista che gli puntava il moschetto e mentre tirava fuori i documenti costui gli chiese se era in licenza o se aveva disertato.

Questa parola risvegliò gli istinti del leone e fiutò il pericolo, nel prendere in consegna i documenti il fascista allentò la guardia quel tanto che bastò a Leo per saltargli addosso e farlo ruzzolare dentro una buca provocata da una bomba e che si era riempita di acqua piovana. Quando il fascista riuscì a rialzarsi si trovò immerso fino allo stomaco e per giunta con un fucile puntato addosso.

Leo gli intimo di spogliarsi e di gettargli vestiti e scarpe, poi gli disse di girarsi mentre lui si sarebbe messo i suoi vestiti e se si fosse mosso gli avrebbe sparato alla schiena. In realtà si trattò di un diversivo affinché il fascista non vedesse cosa Leo stava facendo: raccolti i documenti, il moschetto, gli abiti e le scarpe se ne andò silenziosamente abbandonando di tanto in tanto i capi di vestiario del fascista che, impaurito e frastornato, non si mosse.

Leo velocemente e circospetto riuscì a eclissarsi senza essere visto da alcuno. La strada era deserta, arrivò a casa cercando di farsi aprire senza fare troppo rumore, aveva calcolato che non gli conveniva fermarsi troppo, se fosse stato individuato, riconosciuto e ricercato rischiava di finire in galera sotto processo per diserzione.

Luciano Casalboni