LA SCUOLA NELL'ERA FASCISTA

Il socio Virginio Cupioli, classe 1926, sul filo dei ricordi ci fa un quadro della scuola negli anni del regime, vissuta per esperienza diretta nella sua fanciullezza.

Il problema dei primi anni era costituito dalla lingua italiana usata a scuola, mentre a casa e dappertutto parlavano il dialetto; ciç metteva in difficoltà la maggioranza degli alunni, a eccezione di qualche ragazzo che proveniva dal ceto benestante dove in casa parlavano l'idioma nazionale. Tale difficoltà diventava seria quando mancava il vocabolario non comprato per mancanza di soldi.

Il mattino si svegliavano presto, si lavavano con l'acqua freddissima, quasi ghiacciata, prelevata dal pozzo la sera e messa in un catino di terracotta. Calzavano zoccoli di legno con tomaia di cuoio, le calze erano di lana grezza e grossa, così la maglia chiusa nel collo che pizzicava, calzoni alla zuava o corti. Si avviavano per la strada quasi un'ora prima dall'inizio della lezione, congiungendosi con gli altri ragazzi formando via via il gruppo.

L'edificio di via Fogazzaro era il De Amicis in fondo a via Crispi, per la prima e seconda elementare, dalla terza in poi alle scuole Tonini. La distanza casa - scuola era notevole, più di un chilometro che veniva percorso a piedi. Non esistevano mezzi di trasporto e qualche volta d'inverno, col tempo cattivo (neve o altro), restavamo a casa, ogni tanto usufruivamo del barroccino trainato da cavallo, asino o mulo, di qualche ortolano generoso che ci faceva salire.

Scrivevano con pennini intinti nell'inchiostro, su ogni banco prendevano posto due bambini, il calamaio era al centro sprofondato in un foro con un supporto che lo sosteneva. Era importante avere la carta assorbente per evitare di macchiare lo scritto e in più di un caso non era sufficiente, certi quaderni parevano composizioni in bianco e nero. La data dei compiti doveva essere seguita da: un anno in numeri romani Era Fascista, esempio (a. IX E.F.) 1

Non esistevano classi miste, i grembiuli erano neri, alle ore 10.30 suonava la campanella della ricreazione, i ragazzi si scatenavano nel cortile, quasi tutti erano poveri, andavano a scuola quasi digiuni e il patronato scolastico elargiva saltuariamente una refezione di caffelatte con pane.

Erano soggetti a visite di ogni tipologia da parte dei medici, molto attenti alla loro salute, spesso aula per aula venivano portati in una stanza a respirare ossigeno (aerosol) per rinforzare lo sviluppo.

Era sgradita la somministrazione obbligatoria dell'olio di fegato di merluzzo grezzo, aveva un fetore disgustoso che il bidello mesceva all'uscita dell'aula sulla porta, uno per uno per evitare che qualcuno sfuggisse. Ognuno si portava da casa il proprio cucchiaio e per limitare il disgusto lo miscelavano in bocca con zuccherini e fettine di limone.

Per essere ammessi alla scuola pubblica era indispensabile il tesseramento alla GIL: Gioventù Italiana del Littorio; venivano inquadrati come: figli della lupa, piccole italiane, balilla, balilla moschettiere, avanguardisti, giovani fascisti, cadetti con pugnalino; i più meritevoli cadetti partecipavano ai campi Dux.
A tutti i ragazzi fu distribuita una maschera antigas color verde con supporti in gomma avente grandi occhiali e un filtro per la respirazione da conservare a casa.

Virginio Cupioli
(continua)

1. L'era fascista fu creata appunto, dal fascismo, adottando come data di inizio quella del giorno successivo alla marcia su Roma, che avvenne il 28 ottobre 1922.