FRAMMENTI

Questi amarcod devono essere frammenti di vita vissuta, qui, da ferrovieri, frequentatori già giunti agli anni... anta,... anta! Ricorsi, ricordi, impressioni, sensazioni, nostalgie come flash che possano far rivivere particolari inediti da aggiungere e completare il magnifico libro di Storia del Dopolavoro.

Morte di un vecchio ex ferroviere (sempre genitore)

Passeggiava nel grande giardino della casa con il passo strascicato e salutava gli altri con un cenno. Faceva il sordo più di quel che era a chi lo invitava dalla panchina per chiacchierare un poco. Aveva una meta, lentamente si spostava verso il roseto e non doveva farsi vedere. C'era un piccolo rialzo da superare, appena qualche centimetro per salire sulla ciclopedonabile e raggiungere le rose. Così puntò il bastone dal manico arrotondato e alzò il piede. Ci riuscì senza barcollare e cominciò a osservare quale fosse la rosa più bella.

Un pensiero, un ricordo che gli era rimasto nel cuore. Sua moglie non c'era più e a lei piacevano tanto le rose; le coltivava nel giardino di casa e le mostrava a tutti, come reliquie, nella massima fioritura. Aveva preso l'abitudine di tenerne una in un bicchiere dentro l'armadietto davanti alla sua fotografia. Avrebbe dovuto avere le forbici; ma dove poteva prenderle? A chi le chiedeva? Alle suore? Gli avrebbero chiesto a cosa servivano. Così, a mani nude, riusciva a strapparla e nasconderla sotto il giacchetto.

Sì, da giovane aveva le mani callose, molto callose, da operaio ma ormai da oltre trent'anni era pensionato e le mani si erano fatte lisce e bianche, con quelle strisce azzurrine sopra l'osso. Quel giorno si graffiò e cominciò a sanguinare. Con la bocca, sopra la piccola ferita, succhiò e sputò tre volte. Entrò in camera, mise la rosa nel bicchiere ove c'erano due dita d'acqua e guardando intensamente la foto mormorò piano, con un sospiro: I stà bein, i stà bein nu t' preocupa(1).

Chiuse l'armadietto e ripensò al più grande: Lé 'nu dmenga, 'oz 'l è vendri..., lundé martidè mercul e giovie; 'lé za zinc de. L'an scors l'amniva guasi tott i dé; Che piò znin l'è za un mes ca ne veg. Im m'l'arconta giousta: L'ha da fe' l'ort... l'en ndé via sl'a su' fameja... tott stori! Perché l'è 'ndé in pension ades che steva per d'vintè diretor? (2).

Così perplesso e angustiato si sedette sulla panchina del giardino grande, su una libera dove filtrava ancora un raggio di sole: era molto vecchio, quasi nonagenario, e il sole è amico delle ossa dei vecchi. Si abbandonò a tristi pensieri, al ricordo lontano dei suoi figli, bambini, li rivide adolescenti e le speranze della madre e la sua soddisfazione per il più piccolo che si era laureato. Si rivide sulla locomotiva e ripassò le sembianze dei colleghi che non c'erano più. Era rimasto solo e, fra se rammentò che l'ultima volta che si era recato in deposito non trovò uno, uno solo che lo salutasse.

Tutti giovani nuovi; anche Tonio, quello più giovane, se ne era andato in un mese e mezzo e fra quelli era passato come un fantasma. Avrebbe voluto gridare. Io sono qui e qui ho lavorato, ho passato quarant'anni della mia vita. Ma chi l'avrebbe sentito? Quei volti giovani, speranzosi forse gli avrebbero rivolto uno sguardo, come si guarda una cosa vecchia non più utile. Pensò allora di tacere, rimase diafano per passare oltre.

Rabbuiato appoggiò i gomiti sui ginocchi, si prese la testa fra le mani. Era venerdì, pensò, primo pomeriggio, forse domenica mattina sarebbero venuti. Ancora un giorno e mezzo. E la domenica mattina arrivarono; il grande, la moglie e le due nipotine, la Fede e la Uli, ma lui, il piccolo, non c'era. La Fede abbracciò il nonno e la Uli lo baciò sulla guancia. Era la prima volta che le nipoti venivano e si commosse: ma dai nonno, non fare così, qui è bello... quanta ombra c'è, gli alberi sono secolari e quante rose vedo laggiù. Lui sorrise e pensò alla rosa, la più bella, colta di soppiatto poco prima e che stava di fronte alla foto.

Le nipoti si allontanarono verso il roseto e lui quasi aggredì il maggiore: Perché Franco un' ven piu? 'E sta mel'?(3). Ma cosa pensi, è fuori con la moglie in vacanza per una decina di giorni. Ma lui non si trattenne: Perché l'endè in pension ades che steva per dvintè diretor?(4). - Ma babbo cosa dici; ha scelto di andare adesso perché è un momento buono, con tutti i diritti che ha, la pensione è alta e poi credi proprio che l'avrebbero fatto direttore subito? È stata una scelta e ha fatto bene. Doveva avere settant'anni?. - Ma lo' un gni bseva e lavor(5).

Il maggiore volle chiuderla e andò incontro alle tre donne. Il vecchio non era persuaso e si sedette sulla panchina con il capo abbassato guardando fisso i mattoncini di porfido senza vederli battendo nervosamente il bastone, come volesse scacciare un malaugurio. Nonno, disse la nuora: Vieni che andiamo al bar a prendere qualcosa. - Na na andé vuielt, me 'an veng s'na oz an magn(6). Quelli si avviarono ma non si erano allontanati tanto che lui chiamò forte: Anna sent!. Anna, la nuora, si avvicinò e lui le chiese: L'ha e lavor?(7). - Certo che ce l'ha, ha dovuto prendere anche un falegname. - E la tu' scola?. - Bene bene. - Quant'è chet'duvria andè in pension?. - Fra dieci undici anni nonno. - Tinla bona c'lè un lavor fess(8). Quando si lasciarono, era di nuovo commosso e con il respiro affannato, e la voce tremolante gridò: Di ma Valerio e Michele ch'im venga a truvè(9). Erano i nipoti maschi.

Tre giorni dopo il maggiore ebbe una telefonata. Il nonno stava male, lo trovò con il respiro breve e un filo di rantolo; gli prese la mano e udì frammentato e come una preghiera: Franco. - È tornato oggi, viene a trovarti di sicuro, sta tranquillo. Uscì, incontrò il medico: Ha tanti anni, non regge. Quanto potrà durare?. Risposta del dottore: Non si può dire, anche giorni e giorni.

Tornò con Franco e lo fece salire prima perché apparisse come un incontro casuale. Nel fratello la malattia aveva già inciso, ma non tanto. Il vecchio padre lo guardava, non gli toglieva gli occhi, seguiva ogni suo movimento e quando il maggiore disse: Stai più vicino fagli una carezza e Franco gli posò una mano sul capo, il padre con fatica portò la sua sulla mano del figliolo e strinse forte. Il maggiore prese il fratello per mano: Dopo torno stai tranquillo, cerca di riposare. Il vecchio ferroviere, genitore, accompagnò con gli occhi velati i figli fino alla porta d'uscita alzando due dita della mano destra come un saluto. Arrivò a casa che squillava il telefono, era morto. Un ricordo amaro: averlo lasciato solo nel momento del trapasso. Quel gesto delle due dita erano un saluto o una benedizione? Col tempo, si convinse sempre più che fosse un ultimo atto d'amore.

Vi. Ve.

Glossario:
(1) Stanno bene, stanno bene non ti preoccupare.
(2) È venuto domenica, oggi è venerdì..., lunedì martedì mercoledì e giovedì; è già cinque giorni. L'anno scorso veniva quasi tutti giorni; il più piccolo è già un mese che non lo vedo. Non me la raccontano giusta: deve fare l'orto... è andato via con la sua famiglia... tutte storie! Perché è andato in pensione adesso che stava per diventare direttore?
(3) Perché Franco non viene più sta male?
(4) Perché è andato in pensione adesso che stava per diventare direttore?
(5) Ma a lui non pesava il lavoro.
(6) No no andate voi, io non vengo altrimenti oggi non mangio.
(7) Ha il lavoro?
(8) E la tua scuola? Quando dovresti andare in pensione? Tieni duro che è un lavoro fisso.
(9) che mi vengano a trovare.