Il Dopolavoro Ferroviario di Rimini pagò un prezzo durissimo alla furia distruttiva provocata dagli eventi bellici del secondo conflitto mondiale. Ne uscì in pratica annientato. Nulla si salvò delle sue strutture con l'unica eccezione della palazzina Ghedini, rimasta in piedi, seppure fortemente lesionata. Il socio Albertino Pari, nel novembre 1993, sulle pagine riservate al DLF nel periodico La Locomotiva in una breve cronistoria, qui sotto riportata, ricordava il DLF d'anteguerra.
Il Dopolavoro Ferroviario nacque come Opera Nazionale Dopolavoro per promuovere istituzioni atte a elevare fisicamente e spiritualmente, nelle ore libere, i lavoratori di tutte le qualifiche. Con l'ascesa al potere del regime fascista, fu posto alle dirette dipendenze del Governo.
Rimini aveva nel suo perimetro un forte contingente di ferrovieri, sparsi fra Officina Locomotive, Stazione, Deposito Locomotive, Deposito Personale Viaggiante, Impianti Elettrici, Cantonieri e tutti i requisiti per aspirare a un suo Dopolavoro. Queste aspettative non andarono deluse. I primi Dopolavori Ferroviari nacquero nel 1925 e interessarono le grandi città, a Rimini l'attesa durò fino l'anno 1927 con la sede inaugurata nel centro storico in via Serpieri nei pressi dell'attuale COIN.
Quella però non poteva considerarsi la sua sede naturale, perché la massa dei lavoratori operava attorno alla stazione ferroviaria. I dirigenti delle FS alla direzione del Sodalizio erano espressi dal partito Fascista. Sostenuti pertanto dai funzionari locali del regime riuscirono, ben presto, a far erigere la sede sui terreni di proprietà delle ferrovie in Via Roma (strada allora provinciale), in un appezzamento rimasto libero, dopo la costruzione dell'Officina Veicoli avvenuta alla fine dell'ottocento.
L'area era costituita da un ampio terreno agricolo con una palazzina adibita ad alloggi e mensa, dimora dell'ex proprietario, mentre un altro fabbricato più piccolo, in precedenza la casa del contadino, era utilizzato a magazzino. Negli spazi compresi fra via Roma e lo scalo ferroviario fu costruita la sede sociale, che aveva il numero civico 34 e si affacciava, in parte, su via Roma. Nello stabile a piano terra vi era il bar con la sala gioco, mentre in quello superiore trovavano sistemazione la sala biliardi, la biblioteca e gli uffici DLF.
Per accedere alla sede si passava da un ponticello, posto sulla fossa Patara che attraversava la città, e finiva nel torrente Ausa, ricoperta, poi, negli anni sessanta. Sul lato opposto, separato dal vialetto d'ingresso, vi era la sala cinematografica, munita di platea e galleria. Le proiezioni si effettuavano il sabato e la domenica, mentre il palcoscenico era usato per spettacoli di varietà e commedie. Accanto, negli spazi dove si trova oggi un giardino, erano stati costruiti due campi di bocce, mentre limitrofo sorgeva il campo da tennis. Il rettangolo di gioco per il calcio fu rimediato demolendo alcuni capannoni dell'Officina Veicoli e, sotto l'annessa tribuna spettatori, vi trovarono posto gli spogliatoi. Il campo, delle dimensioni minime consentite dal regolamento, veniva per questo chiamato scherzosamente La scatoletta.
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La Redazione
