NOSTALGIA

Il socio Benito (Toni) Colonna ricorda la sua assunzione in ferrovia a Torino, una meta tanto agognata, che gli consentiva finalmente una sicura, definitiva, sistemazione lavorativa. Questo comportò per altro sofferte rinunce, il distacco dalle abitudini, la famiglia, gli amici e la sua amata città.

Partii da Rimini il 27 settembre 1955 alla volta di Torino dopo avere vinto il concorso nel Genio Ferrovieri. Altri prima di me erano stati costretti ad andare via. Lavoro in zona ce n'era poco e mal pagato. Quella d'andare in ferrovia era la soluzione che più d'ogni altra si confaceva a noi riminesi perché ci offriva la prospettiva di un futuro trasferimento.

Partimmo in tanti durante quegli anni e tutti col pianto nel cuore: i più, amici e compagni della scuola professionale industriale. Lontani da casa, ogni qualvolta ci si trovava, spinti da gran nostalgia, facevamo lunghe chiacchierate nella lingua madre fra lo stupore dei colleghi che non comprendevano una sillaba. Era l'inizio di una fratellanza che si protrae integra e forte ancora oggi dopo mezzo secolo. Ritornai per la prima volta a casa in licenza premio per la realizzazione di un disegno.

Mancavo da casa da ben sette mesi. A mano a mano che mi avvicinavo, quando ormai mancavano una decina di chilometri alla meta, già le mie narici avvertivano l'aria salmastra del mare, sensazioni forti che addolcivano l'anima. Quella sera il treno non arrivava mai. Scesi alla stazione che già era buio.

Con la mia valigetta uscii dal fabbricato e vidi Mario il taxista. Ciao Mario. Ciao Tonino, è un pezzo che non ti vedo, dove ti sei cacciato? Gli raccontai di me. Si offrì di condurmi a casa in taxi, naturalmente gratis. Ringraziandolo rifiutai; volevo camminare, calpestare la mia terra, respirare a pieni polmoni l'odore del mio mare, o magari piangere di gioia, e queste sensazioni dovevano essere uno sfogo intimo solamente mio.

Mi avviai. Dovevo percorrere poco più di due chilometri. Passato il ponte sul Marecchia ero a casa mia, nella mia Rivabella. Notai subito qualcosa di cambiato nel volto della mia terra: cominciavano a vedersi i primi segni del progresso. Avrei dovuto sentirmi contento e orgoglioso per questo, invece avvertii una stretta al cuore.

Sapevo per certo che se qualcosa di nuovo nasceva, il vecchio, nelle cose come negli uomini, era destinato a soccombere. Era dura da accettare questa realtà. L'impatto era stato forte ma capivo che tutto ciò era inevitabile. Le sensazioni di disagio e disappunto un poco alla volta scomparvero. Sapevo l'inutilità del rimpianto; anche se a malincuore, dovevo accettare la realtà.

Benito Colonna