ASSUNZIONE IN FERROVIA: LE PREMESSE

Il Socio Benito Colonna rievoca, in questa breve autobiografia, le difficili condizioni di vita e di lavoro (quando c'era) che caratterizzavano la nostra terra nel dopoguerra e che si protrassero per alcuni decenni. Questa precaria situazione portò allora tanti giovani di quella generazione a emigrare verso altri lidi, alla ricerca di occupazione e/o di una migliore, diversa sistemazione.

Quando, terminate le classi elementari, dovetti da Rivabella recarmi a scuola in quel di Rimini, mio padre mi consegnò una bicicletta messa assieme da pezzi di tre biciclette, un colpo di vernice e via, col sole, la pioggia, e pure con neve o gelido vento. Nonostante la vita dura di quei tempi, (non ne conoscevo altra) quello è stato un periodo estremamente felice della mia esistenza.

Il contatto con la natura che mi circondava mi faceva assaporare quanto c'era di meglio per noi ragazzi di campagna. Poi non dimentichiamoci che c'era il mare, quel mare che non è più lo stesso: ha cambiato volto, come d'altronde tutto il paesaggio e pure la gente.

Ogni anno, al giungere delle vacanze estive, come tanti miei compagni, anch'io mi mettevo alla ricerca di un lavoro: bagnino, barista, pescatore. Poi ebbe termine il ciclo scolastico. Avevo due fratelli più piccoli di me che dovevano studiare. Mio padre un giorno mi disse: caro figlio, mi dispiace veramente non poterti far continuare gli studi, ma debbo pensare anche ai tuoi fratelli e lo stipendio è uno solo, devi saperti accontentare.

Cosa avrei potuto obiettare? Era stato chiaro, lo ringraziai, comprendevo benissimo l'esigenza e non ebbi nulla da rimproverargli. Non era più il caso di fare un lavoro estivo. Dovevo cercarmene uno stabile. Non trovando un lavoro specifico da cui potevo trarre vantaggio dagli studi effettuati, mi riproposi che tutti i mestieri per il momento potevano andare bene, pur di non restare disoccupato e a carico dei genitori che già mi avevano dato la possibilità di studiare e avere una formazione professionale.

Dopo lungo cercare e tante porte trovate chiuse, finalmente riuscii a soddisfare il mio desiderio di entrare a far parte del mondo del lavoro attivo, dando così il mio contributo alla ricostruzione del dopoguerra. Fui assunto in una piccola officina dove si costruivano macchine per falegnameria.

Il primo impatto nel nuovo ambiente fu alquanto duro. Abbassando la testa e stringendo i denti mi riproposi di superare l'ostacolo iniziale dicendo fra me e me che: se ce l'avevano fatta gli altri, ce l'avrei fatta anch'io. Eravamo in sette, tre padroni e quattro operai. Per noi, la legge che vigeva era: niente diritti, solo doveri. Il libretto di lavoro? Nemmeno a pensarci. Non contare mai le ore di lavoro. Arrivare prima dell'orario e andarsene dopo.

Mai commentare, in quanto, fuori dalla porta c'era sempre qualcuno pronto a entrare e prendere il tuo posto. A quei tempi non esistevano molte alternative, perciò trovato un lavoro bisognava tenerselo ben stretto, era giocoforza fare buon viso a cattiva sorte. Il sabato sera, quando ti mettevano nel palmo della mano quella misera paga, dovevi pure farti vedere soddisfatto.

Per arrotondare lo stipendio mio padre, ogni estate, affittava a una famiglia di torinesi. Il cui capofamiglia, venuto a conoscenza delle condizioni in cui lavoravo, fece presente a mio padre che esisteva la possibilità di una mia diversa sistemazione di lavoro, sicura e permanente.

Ci parlò di un concorso nazionale per un certo Genio Ferrovieri, nel quale, in accordo con lo Stato e la Ferrovia, si preparavano agenti ferroviari che al termine della ferma di tre anni, se risultati idonei, sarebbero stati assunti per diritto dalle FF.SS.

Sulla gazzetta ufficiale, anno 1955, trovai e lessi l'articolo che illustrava gli estremi del concorso: come ero stato giustamente informato, tre anni di ferma come volontario ordinario e alla fine congedato e assunto in ferrovia con la qualifica di aiutante macchinista o conduttore. Erano due strade parallele che si sarebbero potute sviluppare col tempo. Tre anni lontano da casa: un bel sacrificio, ma ne valeva la pena. Sarei ritornato alla mia terra con in mano un lavoro sicuro, cosa a quel tempo di estrema importanza.

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Benito Colonna