FRAMMENTI

Questi amarcord devono essere frammenti di vita vissuta, qui, da ferrovieri, frequentatori già giunti agli anni...anta...anta! Ricordi, impressioni, sensazioni, nostalgie come flash che possano far rivivere particolari inediti da aggiungere e completare il magnifico libro di Storia del Dopolavoro.

Dopolavoro 6
La Zuffa

In quell'aria rarefatta di un pomeriggio afoso le menti di quelli seduti in panchina snocciolavano, seguendo con lo sguardo assente il gioco delle bocce, le vicende dei loro vissuti, chiacchieravano del lavoro, dell'avvenire dei figli, dell'Impero conquistato e della possibilità di trasferirsi laggiù perché sembrava pagassero bene. Tutto un cicaleccio sommesso punteggiato da sospiri d'augurio per il futuro.

Anche quelli che stavano giocando parlavano piano e la partita pareva quasi priva d'interesse col segno lento di quei loro movimenti che denotavano apatia. Quell'apatia che ci prende in quei giorni di avanzata primavera ove il tempo dinocola verso il caldo dell'estate e le foglie degli alberi rimangono fisse come dogmi, negate al più lieve ondeggiare di un'aria seppur lieve e nuova.

Nel campo da tennis due giovani si concedevano flemmatiche battute senza sbilanciarsi troppo sulla riga di fondo. I toc-toc delle palle giocate erano sopiti da quell'atmosfera distensiva, quasi di abbandono che intorbidiva le membra e il senno. Ma di colpo urla, strepiti grida forti e soffocate quasi un annuncio di una imminente tragica fatalità che sovrasta.

Ma non era così. Due ragazzini, poco più che bambini, si azzuffavano in mezzo alla ghiaia, di fianco al parterre, sollevando un polverone che faceva da crudele cornice a un banale litigio. Li separarono, ma anche fra la morsa forte degli adulti continuavano a dimenarsi, pronunciare invettive e sputi nei confronti del nemico.

Erano fratelli, figli di Emilio, il più grande di qualche anno aveva i capelli chiari, ed era più esile del minore. Uno aveva il viso graffiato e Bronzetti, un'anziano ferroviere presente, aveva consigliato di portarlo alla Croce Verde per non incorrere in un'infezione.

Ma Emilio, il barista, calmati con forte determinazione, i due discoli disse: «adesso ci penso io». Non so cosa avvenne ma di certo, qualche giorno dopo, insieme ad altri, giocavano a nascondino. Mi ricordai di loro quando a scuola imparai quella poesia, mi pare del Pascoli, ma chissà la memoria mi può tradire, comunque parlava di due fratelli che avevano litigato forte e che dopo le busse del padre si addormentarono abbracciati.

Seppi molto dopo che il più grande morì giovane, l'altro ricordo che nel 1956, quando ci furono i fattacci d'Ungheria, era a difesa della sede del PCI allora in Corso d'Augusto. Un corteo forte di militanti di destra premeva sul portone per entrare nei locali. Uno spingeva con le braccia avanti e offendeva. Lui gli mollò un cazzotto che quello finì contro la vetrina di Gori, delle scarpe. Mi ricordai, in quel momento, del furibondo litigio adolescenziale. Si chiamava Gino Salvatori, ora non è più.

Continua
Vi. Ve.