Il suono rauco si alza acuto |
e finisce in agonia, sei volte. |
Rifugi coperti di frasche |
le grido dietro la croce verde |
sulla via dei casini, |
pochi e lenti quelli che vanno. |
Da tempo la lugubre sirena era |
un refrain consumato. |
Sento lontano un lungo ron... ron, |
un rombo sordo e ho lo |
sguardo fisso sopra i tetti |
verso il cielo. |
Poi gli schianti, il franare dei muri |
dei comignoli |
come uno strepitio di mitraglia che |
si inceppa e poi riprende. |
Mi tuffo sotto il biliardo delle sei buche, |
incontro uno sguardo di paura, |
gli occhi grandi fissi sul niente. |
Ancora un colpo, due, come un tuono |
che brontola secco, un rotolare di sassi. |
Lei stringe le spalle e piega il capo, dentro |
come una lumaca. |
Allunga una mano mi strappa i capelli, |
coraggio... passa |
molla il mio ciuffo. È Gianna la giovane cameriera |
dal seno acerbo che dondola |
e che ora le soffia in gola. |
La nebbia grigia delle rovine ci avvolge |
e penetra nelle nari, |
tossiamo a colpi secchi, nasali, poi si dirada. |
Il silenzio... |
Una carrozza veloce scuote il selciato |
sconnesso, come una grandinata. |
Poi gli scalpiccii, le urla, i richiami: usciamo con fatica |
Gianna mi stringe a se e appoggia i suoi |
capelli neri sul mio petto, senza guardare. |
Geme: Mio Dio, mio Dio. |
1° novembre 1943, ore 11,30
Vi. Ve.